L’eco della controffensiva ucraina si propaga in molti dei Paesi che vorrebbero presto la fine del conflitto alle porte dell’Europa, ma non deve illudere perché i russi si portano avanti al confine settentrionale e mantengono le fortificazioni create.
Anche i droni che attaccano la città di Mosca non devono depistare: sono operazioni speciali che hanno un “effetto specifico e limitato”, come spiega il direttore della Nato defense college foundation (Ndcf), Alessandro Politi. Nodo cruciale è l’accordo per sbloccare il trasferimento del grano per il quale il presidente russo si è tirato indietro e che determinerà dure conseguenze per poveri e ricchi.
Direttore, come dobbiamo leggere la controffensiva di questi giorni da parte di Kiev?
I media hanno la tendenza a evidenziare i segnali di progresso ucraino mentre minimizzano i passi sul fronte opposto. In realtà più fonti affermano che Mosca stia avanzando al Nord. Gli ucraini hanno ricevuto molte armi ma non hanno avuto il tempo necessario per l’addestramento, in più si ritrovano armamenti di vario tipo, alcuni compatibili fra loro, altri no. I mesi di guerra hanno certamente formato i soldati ma l’esperienza si paga con un numero altissimo di morti e feriti.
Però i droni attaccano Mosca.
Ammesso che siano tutte partite da Kiev (cosa che Kiev nega) queste sono operazioni speciali il cui effetto è indicare la fragilità dell’avversario. Una strategia vecchia, usata anche nella Seconda guerra mondiale per intaccare il morale. Le operazioni speciali sono importanti ma hanno un effetto specifico e limitato.
Ma è vero che gli ucraini stanno andando all’offensiva?
Sì. Ma è la fine del vantaggio dello stare sulla difensiva. Molta parte dei successi di questo ultimo anno è stata portata perché gli ucraini stavano sulla difensiva. Poi hanno fatto una fulminea controffensiva in un punto debole dello schieramento russo con risultati positivi. I russi hanno capito che dovevano sistemarsi a difesa e in modo fortificato, per creare linee difficili da sfondare. Davanti a un campo minato, gli ucraini hanno difficoltà a fare passare delle unità, e anche se hanno artiglieria sufficiente per battere in profondità, i russi hanno imparato a proteggersi dalla minaccia. Non c’è nulla di nuovo, è uno schema già visto nella Prima guerra mondiale sul fronte occidentale. Gli ucraini si stanno logorando; le stime parlano della perdita del 20-25% degli armamenti forniti a Kiev. Se queste cifre fossero confermate, sarebbe un bilancio gravissimo.
Visto lo stato dei fatti, i sostenitori dell’Ucraina continueranno a inviare aiuti militari?
In base ad alcune informazioni sembra che i trasferimenti di armi siano sempre più limitati.
È giunta quindi l’ultima fase della guerra?
Difficile dirlo, siamo ai tempi supplementari. Di sicuro Zelensky ha anche un fronte politico a cui rispondere, ma sarà la conta delle perdite insieme al morale delle forze militari a determinare la fine. L’eventuale delusione andrà gestita e non sarà facile. La presa di coscienza sarà drammatica per tutti, anche per gli altri Paesi che hanno aiutato l’Ucraina.
Nel frattempo, l’accordo sul grano rischia di non essere stretto perché Putin si tira indietro.
L’accordo sul grano si teneva finché Mosca trovava convenienza. Ora però il Cremlino, dopo le iniziali settimane in cui sentiva di perdere, ritiene che la controffensiva ucraina non stia andando bene. A questo punto l’accordo sul grano è un giro di vite che colpirà sia le popolazioni più povere sia i Paesi più ricchi. Colpire le risorse logistiche essenziali che alimentano lo sforzo bellico del nemico è pratica consolidata. Precedenti nella Seconda guerra mondiale o nella guerra del Vietnam o contro l’Iraq insegnano che tutto quello che è utile per lo sforzo bellico si può fare. Certo, oggi si fa in modo più chirurgico grazie alla tecnologia. La domanda cruciale è: quanto ha perso finora la Russia per colpa di questa guerra? Putin non lo dice, ma questa domanda se la pone, sa di avere problemi e che questa guerra gli è costata cara.