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Sui social sta girando una pubblicità che non può passare inosservata per un credente cattolico. Parliamo dello spot di Amica chips, ideato dall’agenzia Lorenzo Marini group.

 

 

 

E non può passare inosservata perché è blasfema: patatine offerte da un sacerdote a delle novizie al posto delle ostie, durante la messa, al momento della comunione. “Colpa” di una suora anziana che, trovata vuota la pisside, ha operato la sostituzione. Anche la frase finale della pubblicità non lascia dubbi sulla volontà di colpire quanto c’è di più caro per un cattolico. Lo slogan finale, infatti, è: “Amica chips, il divino quotidiano”. In tv sulle reti Mediaset va in onda uno spot “meno pesante” in cui non si vede se alla suora venga data l’ostia consacrata e il rumore dello sgranocchiare patatine potrebbe attribuirsi anche solo alla suora che sta in sacrestia. Uno spot ancora più edulcorato per la Rai in cui si vede chiaramente che alla suora viene data propriamente un’ostia bianca. La versione per i social non ha mancato di sollevare proteste, prima tra tutti quella dell’Aiart, che ha chiesto la sospensione dello spot perché “offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti oltre che essere oltraggioso nel banalizzare l’accostamento tra la patatina e la particola consacrata”. Sulla vicenda abbiamo chiesto il parere di Adriano Fabris, professore di filosofia morale e di etica della comunicazione all’Università di Pisa.

 

 

Professore, cosa pensa di questa “trovata pubblicitaria”?

 

Non ho parole, davvero! Non c’è il minimo di rispetto, se una pubblicità così fosse stata fatta offendendo i simboli fondanti della religione degli islamici o degli ebrei sarebbe successo il finimondo, ci vorrebbe un po’ di par condicio. Perché si può ideare e realizzare uno spot che offende i cattolici, i cristiani in generale, rispetto a uno degli aspetti più importanti per la fede cattolica, cristiana, che è la comunione? Per le altre religioni non si fa e se si facesse ci sarebbe un’alzata di scudi.

 

 

Ma perché con i cattolici ci si sente “liberi” di offendere?

 

Bella domanda, credo che le questioni siano due concomitanti. Per un verso, nella società italiana il cattolicesimo era estremamente penetrato come religione di popolo e negli ultimi decenni c’è stato un indebolimento, un abbandono, un’indifferenza, una scomparsa di riferimenti religiosi soprattutto per le giovani generazioni, anche a causa di prese di posizione molto nette di rigetto da parte di una certa mentalità e di certe posizioni culturali. Rispetto a questa congerie culturale da parte cattolica non ha corrisposto un’adeguata risposta in termini culturali, di dibattito pubblico: ecco l’altro elemento concomitante. Pertanto, ci è sentiti quasi in colpa, ci si è più o meno rinchiusi nei nostri ambiti comunitari e si è in qualche modo lasciato fare ad un’egemonia culturale che va in un’altra direzione nello spazio pubblico, nella società. Al massimo, la nostra presenza si è realizzata concretamente in importanti e utili impegni pratici, ma sul piano della presenza nel dibattito pubblico e della rivendicazione di valori importanti, purtroppo, non siamo stati molto presenti. La conseguenza di questa mancata presenza ha anche favorito un lasciare spazio ad altre mentalità e posizioni. Vero è che ancora un pochino, dato che la pubblicità suscita scandalo, un’attenzione ai nostri valori e al nostro credo c’è: un residuo di religione cattolica popolare lo si riconosce e lo si sollecita proprio per dare scandalo.

 

 

L’offesa è pesante, possiamo parlare di blasfemia, benché il Ceo e direttore creativo della campagna, rispondendo a una sollecitazione del quotidiano Avvenire, riduca la questione a uno spot irriverente e definisca se stesso cattolico praticante…

 

Nel caso di questa pubblicità bisogna rivendicare il rispetto per l’esperienza religiosa in generale perché la blasfemia nei confronti di una religione - in questo caso la cattolica - offende tutte le altre religioni, impedisce che ci sia uno spazio religioso riconosciuto e rispettato nella dimensione pubblica, prende in giro il fatto che l’essere umano possa esprimere le proprie esigenze, i propri bisogni, le proprie istanze di senso in una dimensione religiosa. La cosa mi sembra tanto più grave in quanto non riguarda solamente la blasfemia contro la religione cattolica, ma riguarda proprio la perdita di rispetto nei confronti dell’essere umano religioso in quanto tale.

 

 

Quindi, possiamo dire che questa pubblicità non offende solo noi cattolici?

 

Esatto. Da questo punto di vista mi auguro che ci possano essere prese di posizione da parte di esponenti o intellettuali di altre religioni, esattamente allo stesso modo in cui ci sono prese di posizioni dal versante cattolico nel momento in cui sono state attaccate ingiustamente, facendo di tutta erba un fascio, altre religioni.

 

 

L’auspicio è che sia tolta dai social questa pubblicità?

 

L’eliminazione può essere interpretata come censura, a cui seguirebbero reazioni, che sposterebbero il problema. La questione non è una censura o un’eliminazione, ma radicare nella mentalità comune, anche nel creativo, che si dichiara cattolico, o nelle persone che dovrebbero essere sollecitate da questa pubblicità, che su certi aspetti ci vuole autolimitazione, non si può parlare di tutto, non si può scherzare su tutto. Se una pubblicità di questo tipo avesse preso di mira una persona con disabilità, ad esempio, cosa sarebbe successo? E perché non è stato fatto? Perché adesso, giustamente e legittimamente, i creativi si autolimitano rispetto a determinate questioni sulle quali si ha consapevolezza che non si possono né si devono fare e sulle quali non si può né si deve scherzare. Questa autolimitazione per le religioni e soprattutto, in questo momento, per la religione cattolica non c’è. Non si tratta di una censura da imporre dall’alto, si tratta di rispetto, una questione molto più profonda: possiamo entrare in rapporto con gli altri solo se li rispettiamo, se rispettiamo le loro alterità, la loro diversità. Questo spot è proprio l’esempio dell’assoluta mancanza di rispetto nei confronti di persone che credono e che hanno profonde convinzioni religiose.

 

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