“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Questo versetto del Vangelo secondo Matteo costituisce il tema del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del malato 2019, la XXVII, che ricorre oggi 11 febbraio e quest’anno viene celebrata solennemente a Calcutta.
Abbiamo sentito don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei.
Don Massimo, in che modo il mondo della sanità si sente interpellato da queste parole del Papa incentrate soprattutto sulla gratuità?
In tutto il sistema sanitario c’è bisogno di una rinnovata gratuità. L’appello del Santo Padre ci ricorda il dono della vita, ricevuta gratuitamente e non per merito nostro. Pertanto tutto quello che abbiamo va a riversato nel rapporto con gli altri. Ci vuole una rinnovata gratuità da parte di medici e infermieri perché oltre al lavoro professionale mettano quel di più, forse non contrattualizzato, sotto forma di gratuità del sorriso, della pazienza, dell’empatia con il paziente affinché si senta realmente preso in carico e accolto all’interno del sistema sanitario. C’è bisogno di una rinnovata gratuità da parte dello stesso Ssn che si definisce universalistico perché la nostra Costituzione garantisce accesso gratuito alle cure a tutti coloro che sono sul suolo italiano ma sappiamo che nella realtà non è così. Abbiamo 20 regioni e 20 realtà sanitarie diverse; in molti casi occorre emigrare da una regione all’altra per ottenere percorsi di cura non disponibili sul proprio territorio. La lunghezza delle liste d’attesa spinge alcuni a rivolgersi alla sanità privata con altissimi costi: tutto questo è contrario alla dimensione di gratuità garantita per legge. Inoltre c’è l’ambito della ricerca e della sperimentazione scientifica e farmaceutica. Talvolta nuove terapie e nuovi farmaci disponibili sono eccessivamente costosi per il Ssn e tanto più per i privati. E’ giusto che aziende che investono molto recuperino i loro investimenti, ma devono anche creare le condizioni sul mercato affinché i trattamenti siano accessibili a tutti.
Quali sollecitazioni per la sanità cattolica?
Le nostre realtà sono chiamate a vivere la gratuità attraverso le scelte operative che fanno quotidianamente per garantire l’accesso a tutti, anche alle persone più indigenti. Cultura della gratuità e del dono. Il Papa mette in guardia dall’aziendalismo nelle istituzioni sanitarie cattoliche. A volte però è difficile far quadrare i bilanci. Nella gestione economica di queste realtà i principi ispiratori non possono essere quelli aziendalistici del profitto o della quadratura di bilancio a tutti i costi. Il bene delle persone deve restare il primo e principale obiettivo e la ragion d’essere di queste strutture. A volte è difficile bilanciare risorse ed esigenze, cura delle persone ed equilibrio economico, ma un nuovo equilibrio è possibile laddove vengono attaccate sacche di spesa che ne pregiudichino il funzionamento. Quanto alla sanità pubblica, sono tre le grandi voci di spesa da abbattere: sprechi, corruzione e medicina difensiva. Tagliarle significherebbe recuperare risorse da immettere nel sistema sanitario nazionale.
Umanizzazione delle cure: a che punto siamo?
Per realizzare percorsi di umanizzazione occorre stabilire un nuovo rapporto di stima e fiducia tra curati e curanti. Le persone che si affidano a medici e infermieri devono avere rispetto della loro professionalità e fiducia in chi si mette ogni giorno al loro servizio. Purtroppo la cronaca ci ha mostrato diversi episodi di aggressioni di operatori sanitari nei pronto soccorso da parte di pazienti o loro familiari. Naturalmente il rispetto deve essere reciproco. Occorre insomma
un rinnovato patto di fiducia e solidarietà tra medici, infermieri, malati e famiglie.
Quest’anno appuntamento a Calcutta. Che cosa dice la figura di madre Teresa?
Gli ultimi, quelli che Papa Francesco definirebbe scarti dell’umanità rifiutati dal sistema, erano i privilegiati di madre Teresa che con il suo esempio ci insegna che la cura deve essere orientata all’accoglienza di tutti. Lei, che in molti casi li raccoglieva nelle sue strutture solo per accompagnarli ad una morte degna, ci insegna a farci carico di tutti, accogliendo e tutelando la vita in ogni suo stadio e condizione. Non è possibile categorizzare i malati in base alle opzioni di sopravvivenza, alla patologia o ad un’opinabile valutazione sulla qualità di vita. Teresa si è fatta carico di chi secondo i parametri correnti non aveva alcuna qualità di vita: lei gliel’ha data attraverso il suo amore. Chi percorre il suo ultimo tratto di vita sentendosi amato ha una qualità di vita altissima.
Pastorale inclusiva e integrata sul territorio: che cosa serve perché diventi realtà?
Oggi un nuovo modello gestionale delle strutture sanitarie, nuovi percorsi di cura e le mutate condizioni di malattia, come il prolungamento della cronicità anche decennale in alcune patologie invalidanti, hanno reso l’ospedale luogo di trattamento del fenomeno acuto mentre cure secondarie, terziarie e cronicità vengono gestite a domicilio. Tuttavia molte persone si trovano a dover affrontare sofferenza e malattia senza alcun sostegno, con grande stress per loro e per i familiari. Mancano servizi sanitari territoriali adeguati, servizi domiciliari, sistemi di accompagnamento anche economico. Ecco perché la pastorale della salute e delle parrocchie dovrà essere sempre più capace di farsi carico di queste fragilità. Per una comunità cristiana solidale e sanante occorre attivare nelle nostre parrocchie le migliori risorse: ministri straordinari della comunione, volontari e associazionismo cattolico per costruire una rete di vicinanza, accoglienza e sostegno a malati e anziani soli. Dobbiamo sapere dove vivono nei nostri quartieri e andarli a trovare. Nessuno deve più sentirsi solo e abbandonato. E’ il nostro battesimo che ci chiama all’accoglienza, a vivere il comandamento dell’amore reciproco.