In questi giorni la campanella suonerà per la prima volta in tutte le regioni italiane. Eraldo Affinati è uno scrittore romano di successo e un insegnante di lungo corso. Con la moglie Anna Luce Lenzi ha fondato 15 anni la scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, oggi quasi 60 realtà su tutto il territorio nazionale.
Lei è un profondo conoscitore e ammiratore di don Lorenzo Milani, anche lui maestro e scrittore, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita (27 maggio 1923). Che cosa, del suo messaggio, vorrebbe rilanciare in occasione della ripartenza dell’anno scolastico?
Nella famosa “Lettera a una professoressa” don Milani, per bocca dei suoi ragazzi, invitava la docente a non fare domande-trabocchetto. Io credo si tratti di un’indicazione ancora essenziale. Cosa voleva dire il priore? La scuola non dovrebbe essere vissuta come un percorso ad ostacoli, bensì alla maniera di un’esperienza conoscitiva. Chi insegna dovrebbe giocare a carte scoperte mettendo in chiaro fin dall’inizio gli obiettivi da raggiungere. Se riuscissimo a fare questo, anche il giudizio scolastico sarebbe scaricato di peso, perdendo la dimensione drammatica che troppo spesso assume oggi. Per realizzare il patto educativo è necessario stabilire un clima di fiducia reciproca fra studenti, professori e famiglie. Soltanto così la scuola potrà diventare un luogo piacevole, e non uno spazio specialistico e astruso.
Per quanto riguarda il mondo della scuola, il decreto-legge in materia di “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, approvato dall’ultimo Consiglio dei ministri a seguito dei fatti aberranti di Caivano, opera nell’ambito del piano Agenda Sud per mettere fine al deserto educativo e sociale di tante aree deprivate e spesso preda di reti criminali attraverso - anche - il potenziamento dell’istituzione scolastica. Messa in discussione da più parti, la scuola è in grado di essere baluardo per arginare criminalità e violenza?
Deve esserlo, non può rinunciare. In particolare, nelle periferie metropolitane gli istituti scolastici sono luoghi di resistenza etica in mancanza dei quali lo Stato non riesce a incidere. In questa prospettiva i docenti assumono un ruolo decisivo, non solo perché incarnano il sapere consegnandolo alle nuove generazioni, ma anche in quanto riferimenti istituzionali: ogni loro fallimento, pure inevitabile, provoca conseguenze molto più gravi di quanto accadrebbe se a sbagliare fosse un semplice passacarte. Quanto ai provvedimenti legislativi per regolare il Web, specialmente nella protezione dei minori, sono necessari, ma non basteranno. Anche le famiglie dovranno essere coinvolte nel patto educativo, altrimenti i docenti continueranno a restare soli, come purtroppo ancora accade.
Ai ragazzi che tornano in classe e che, come riportato dalla cronaca la scorsa primavera, sostengono di non farcela a causa dell’eccessiva pressione da parte dei docenti che cosa direbbe?
Di riuscire a trovare la forza e il coraggio di scegliere, fra le numerose opzioni disponibili, quella che corrisponda meglio alle loro attitudini. Tante sono le strade da percorrere, ma una sola è la più giusta per ciascuno. I ragazzi andrebbero presi uno per uno, non trattati come una categoria universale. Fosse così riuscirebbero a esprimere le loro doti che troppo spesso restano nascoste la mattina in aula, rivelandosi piuttosto nel pomeriggio quando molti di loro danno il meglio di sé. Il mio consiglio potrebbe quindi essere quello di spronarli a raccontare, quando possibile, ai loro professori, ciò che credono di saper fare. Conoscere l’attitudine di un giovane sarebbe molto importante per farlo partecipare attivamente alla vita sociale.
Qual è, da insegnante, l’augurio che vorrebbe rivolgere ai suoi colleghi?
La passione di un professore si rinnova ogni giorno nel rapporto con gli studenti, non è mai uguale a se stessa. Il nostro lavoro è basato sulla relazione umana; i migliori docenti non sono quelli che sanno bene una cosa, ma coloro che spezzano il pane dell’istruzione. Certo, è fondamentale padroneggiare la materia che siamo chiamati a insegnare, ma se non amassimo la nostra disciplina non potremmo contagiare gli scolari, i quali hanno bisogno di emozioni, di passione oltre che di idee. Don Milani sosteneva che occorre conoscere la posizione dalla quale parte lo studente, in modo da premiarne l’eventuale movimento prima del traguardo raggiunto o mancato. Se considerassimo tutti allo stesso modo, faremmo parti uguali fra disuguali commettendo la più feroce ingiustizia. Ma come si fa a capire quale è la stazione di partenza del singolo studente? Non basta sottoporgli i test di orientamento che si fanno a settembre/ottobre. È necessario conoscere i ragazzi, sapere dove vivono, chi sono i genitori, quali esperienze hanno avuto… Solo così potremo guidarli nell’apprendimento, avviandoli al rapporto con se stessi e con il prossimo.
Oggi i ragazzi leggono poco e non sanno scrivere. Perché?
Questo è un tema che mi sta molto a cuore, sul quale ho riflettuto nel mio ultimo libro “Delfini, vessilli, cannonate” (HarperCollins, ndr). Non sono proprio convinto che i giovani leggano meno rispetto al passato, dipende dalle fasce di età e dagli ambienti in cui vivono, di certo lo fanno in modo più frammentario e spezzettato a causa della rivoluzione digitale. Questo ha comportato un mutamento nella percezione del testo scritto, rispetto al quale la scuola non può restare indifferente. Dobbiamo mettere ordine nel Web, indicare come usare le nuove tecnologie, dire ciò che è importante e ciò che non lo è, combattere la distrazione e la superficialità imperanti non solo fra i giovani, spiegare l’uso delle fonti, far capire la differenza fra informazione e conoscenza, ristabilire le condizioni di possibilità dell’esperienza. Solo facendo tutto questo potremo intervenire fattivamente sulla lettura e sulla scrittura.
Per appassionare i ragazzi alla bellezza della letteratura e alla potenza della scrittura, che cosa dovrebbero fare gli insegnanti?
Non assegnare un libro unico all’intera classe, perlomeno non solo questo, ma suggerire a ciascuno il testo migliore. Il lettore, tranne rari casi, non esiste in natura, dobbiamo “costruirlo”. È uno dei compiti più affascinanti della scuola.
Io sono anche un fautore dei diari che possono aiutare gli adolescenti a prendere coscienza di se stessi. Continuo a credere nel valore dei riassunti da fare subito, a mente calda, dopo aver letto il testo. Le famose sequenze: è fondamentale imparare a farle. E poi resta cruciale la tecnica per prendere appunti mentre il professore spiega. Se riuscissimo a insegnarla agli adolescenti, faremmo loro un regalo straordinario che si porteranno sempre dietro, anche se non diventeranno mai scrittori.
Come conciliare la funzione di “guida” del docente con il rendere gli alunni “protagonisti” dell’azione didattica e dell’impresa del sapere?
Tutti i grandi educatori del passato, da John Dewey a Maria Montessori, hanno posto in risalto il protagonismo degli scolari, consapevoli che solo suscitando l’autostima dei ragazzi è possibile imbastire un discorso pedagogico. Allo stesso tempo il docente doveva diventare una sorta di direttore/coordinatore delle attività creative, pronto a nascondere la sua mano appena possibile. Abbiamo iniziato con don Milani e con lui possiamo finire: cosa fece il priore di Barbiana attraverso la “scrittura collettiva”, se non lasciar emergere il valore dei suoi studenti invitandoli a lavorare tutti insieme?