Preghiera termine caduto in disuso, dileggiato e, troppo spesso, celato in ogni nostro rapporto umano. Non per riservatezza, per pudore, ma per non passare da poveri stolti o retrogradi che credono ancora di essere stati creati, voluti e amati da Dio.
L’alleanza, la berith, che l’Altissimo ha tagliato con il popolo d’Israele non è soltanto una relazione ma ben di più apre uno scenario alla dimensione più profonda del tempo biblico: Dio è divenuto partner d’Adam. Non lo abbandonerà mai perché l’alleanza è indefettibile. Svela quella che è la vocazione più profonda della creatura umana: amare Dio perché da Dio è amata.
Il segreto dell’alleanza è posto nelle nostre mani: prendere o lasciare. In piena e assoluta libertà: il tempo biblico è questo. Gesù Cristo, con il suo annuncio e la Sua morte e Risurrezione, ha siglato l’alleanza e ci ha insegnato a pregare, lanciando il nostro grido: Padre nostro. Questo dono di preghiera come afferma Agostino è sublime: “Se passi in rassegna tutte le parole delle preghiere contenute nella S. Scrittura, per quanto io penso, non ne troverai una che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera insegnataci dal Signore”.
La sua presenza, in noi e fra noi, è sempre in attesa che ce ne ricordiamo, lo invochiamo e lo lodiamo. Paradossalmente, come ci insegnava Paolo De Benedetti dobbiamo… risvegliarlo. Non perché Egli dorma e cancelli la sua presenza ma perché, sentendosi richiamato, divenga sempre più benevolo, più soccorritore.
L’invito di Francesco nell’apertura dell’Anno delle Preghiera, non rimanda a formalità oppure ad una sorta di… esercitazione uggiosa… quale la ripetizione di formule o alla conclamazione… rumorosa.
L’intento è quello di farci scoprire oggi, nel nostro quotidiano pluri-sfaccettato e quindi ricco di stimoli, ma anche contaminato dalla terribile esperienza della velocità, di quell’aspetto del vivere definito… mordi e fuggi…, della reale, almeno possibilità se non concreta esperienza, della presenza in noi del nostro Creatore che, non solo ci ha immessi nella storia – non “gettati” e poi scordati – ma che pulsa in noi e muove i nostri passi simultaneamente con i suoi, mentre continua a creare questo mondo che vuole sfuggirgli, darsi traguardi propri: guadagni, benessere, conquiste.
Accogliere quindi l’invito non a catalogare le preghiere ma a diventare oranti. Persone che, nel loro vivere e respirare, hanno coscienza di non essere sole ma abitate dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Ascoltare, rispondere, dialogare, fare proprio l’amore trinitario che fluisce sempre.
Tertulliano, Padre della Chiesa, scriveva: “Quando poi lo chiamiamo ‘Padre’, noi implichiamo anche l’appellativo di Dio. Il termine ‘Padre’ nella sua semantica indica tenerezza e autorità. Inoltre, nel Padre noi invochiamo il Figlio. Dice infatti: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). E non tralasciamo neppure la madre, cioè la Chiesa, perché nel Figlio e nel Padre è riconoscibile la madre; da lei, infatti, il nome del Padre e del Figlio è autorevolmente garantito”.
Francesco in quest’anno, in nome della Chiesa, a questa postura vuole condurci, vuole farcela ricercare, amare e prediligere. Non significa alienarsi dal proprio lavoro, distaccarsi da tutti quasi da misogini. Significa, al contrario, immersi nel proprio vivere quotidiano sapendosi accompagnati, sapendo a Chi innalzare lo sguardo, ringraziando, lodando, chiedendo aiuto.
Così salveremo noi stessi e saremo vicini ed amici ad ogni persona con cui condividiamo il nostro peregrinare verso il Padre.