Anticamente il lupo abitava nel vastissimo manto boschivo che ricopriva il territorio dell’antica Terra d’Otranto; del resto, i sostenitori della romanità di Lupiae, l’antica Lecce, riconnettono il suo nome al lupo il quale è posto sotto l’albero di leccio, costituendo l’emblema civico. Un’altra sopravvivenza della sua presenza sono i nomi di alcune famiglie locali, come Lupo e Luperto.
Dall’osservazione del comportamento del lupo sono scaturiti alcuni modi di dire popolari, noti e meno noti; il più diffuso è contenuto in un brano poetico di cui riportiamo uno stralcio:
Ma lu lupu se cangia de lu pilu, Ma il lupo se cambia il pelo
cce sperati lu iziu ca à cangiare? che sperate che cambi il vizio?
(Capitano Black)
Quando il vizio è profondamente radicato nell’indole, difficilmente o molto raramente si cancella; la constatazione è rivolta all’animale, ma, per estensione, si riferisce all’uomo.
Venane li lupi de li munti e cacciane le pecure de li curti, vengono i lupi dai monti e scacciano le pecore dall’ovile; la metafora celata, senza tema di smentita, si applica tra gli esseri umani nel millenario dualismo tra il prepotente ed il debole, tra il prevaricatore ed il succube.
La fame caccia lu lupu de intra lu boscu, la fame caccia il lupo dal bosco, sottintende che lo stato di necessità fa sovvertire alcune abitudini.
Chiedere la caritade a santu Lupu, chiedere la carità a san Lupo, è una frase detta con tono scherzoso e stigmatizza la cocente delusione di non vedere esaudita una richiesta inoltrata a qualcuno molto vicino o ad un nostro debitore.
Lupu nu mangia lupu, lupo non mangia lupo, ossia l’uguale non nuoce al suo uguale.
L’arte cu l’arte e lu lupu alle pecure, l’arte con l’arte ed il lupo alle pecore; la massima esplicita quanto sia logico, a volte perfino scontato, che ognuno debba seguire la propria inclinazione o, per esempio, debba sapere svolgere il proprio mestiere.
Per approfondire:
R. Barletta, Cane nu mangia cane. Bestiario popolare salentino, Edizioni Grifo, 2013.