Profonda commozione a Turi, nella giornata di venerdì 18 ottobre, per la consueta ricorrenza autunnale di Sant’Oronzo.
La festa, che fa sì memoria del martirio del protovescovo leccese ma ne celebra soprattutto l’attività apostolica ed evangelizzatrice, è stata caratterizzata da una solenne ostensione della sacra reliquia oronziana donata dall’arcivescovo di Zara, mons. Želimir Puljić. Durante il pellegrinaggio dei fedeli turesi in Croazia del settembre scorso infatti, mons. Puljić aveva a sorpresa consegnato all’arciprete don Giovanni Amodio un prezioso disco di cristallo contenente un frammento osseo, raccolto durante l’ultima ricognizione canonica del cofanetto di Nona, e parte della bambagia posta a contatto con la fibula attribuita al nostro santo. Un dono stupendo, diretto non solo alla cittadina di Turi ma all’intera Puglia, a tutte le comunità che si riconoscono figlie del grande martire appulo e ad ogni devoto.
Per onorare degnamente un tale tesoro, si era decisa la realizzazione di un elegante reliquiario da collocare poi nella chiesa matrice del comune barese. L’opera, progettata da Daniela Angelillo ed intagliata dall’artista Vito Capozza, è stata compiuta a tempo di record.
Essa richiama in maniera nitida l’iconografia, di impronta piuttosto bizantina, presente sulla cassetta di Nona. Il santo è riprodotto con i tipici paramenti liturgici orientali, tra cui spicca un ampio omoforio. Porta con sé il libro delle scritture e leva la desta a benedire. È accompagnato inoltre dalla medesima iscrizione visibile sul reliquiario dalmata.
Certo, si tratta di una figura alquanto diversa dalle rappresentazioni di marca barocca cui siamo abituati. Ma, a tal proposito, è bene ricordare come a detta di un esperto quale il prof. Nikola Jakšić dell’Università di Zara, quella di Nona sia la più remota immagine oronziana ad oggi conosciuta.
Un’effigie risalente all’XI sec. e che permetterebbe di identificare l’Oronzo lì rappresentato proprio con l’antico vescovo di Lecce, distinguendolo da altri santi più o meno omonimi come Sant’Aronzio di Potenza e Sant’Oronzo di Embrun. Martiri sì ma cui nessuna tradizione ha mai attribuito la dignità episcopale. A completare il nuovo reliquiario di Turi sono poi un pastorale latino stretto tra una palma, simbolo del martirio, ed un ramo d’ulivo, emblema della nostra regione.
L’opera è stata dunque benedetta da mons. Giuseppe Favale, vescovo di Conversano-Monopoli, prima di essere poi condotta, con un affollatissimo corteo processionale, per le vie del paese. Sebbene la particella ossea racchiusa nel reliquiario sia, in verità, qualcosa di abbastanza esiguo, il suo valore sacro è invece altissimo allo sguardo dei fedeli.
La devozione locale identifica del resto in Sant’Oronzo il primo battezzato, il primo sacerdote ed il primo martire del cristianesimo della nostra terra. Egli è di fatto la colonna della Chiesa pugliese. Tuttavia, nessuna tra le molte comunità in cui è radicato il suo culto aveva mai potuto venerare i suoi santi resti.
Scorrendo la letteratura oronziana composta tra il XVII e gli inizi del XX sec., ci si accorge come quelle pagine siano pervase dalla fervida ansia, dall’accesissima brama di rinvenire il suo sepolcro. E, a lode dei vescovi leccesi dei secoli passati, va innegabilmente riconosciuto come essi, a partire da mons. Pappacoda, non siano mai stati sfiorati dalla tentazione di spacciare delle reliquie false del patrono agli occhi del popolo dei fedeli. Cosa, senza dubbio, rilevante perché dimostra come le gerarchie ecclesiastiche di un tempo siano state forse molto più zelanti e rigorose, nel delicato ambito delle reliquie, di quanto di solito non si creda.
Attraverso il dono della Chiesa zaratina ecco però che finalmente il santo si è reso presente. Ha voluto far filtrare un raggio di luce tra tanta oscurità e, in particolar modo, ha desiderato fare ritorno tra la sua gente. Molto resta ancora da studiare e da approfondire ma quello che innumerevoli generazioni di credenti pugliesi avrebbero voluto vedere è ora sotto i nostri occhi.