Botrugno, nell’arcidiocesi di Otranto, è contrada prettamente bizantina. La bella chiesa dedicata alla Vergine di Costantinopoli, quella dell’Assunta, la cappella rurale dell’oscuro San Solomo, sono testimonianze eloquenti delle sue radici greche.
Eppure proprio in tale contesto, poco dopo la metà del Seicento, si è innestato il culto di Sant’Oronzo, crescendo poi in maniera poderosa, sin quasi ad eclissare la devozione per Sant’Antonio da Padova, promossa dai francescani, venuti da queste parti per contribuire a latinizzare la comunità dopo il Concilio di Trento. Oggi sant’Oronzo è l’autentico genius loci.
Da più di tre secoli infatti i botrugnesi nascono sotto il suo piviale, ricevono l’amore verso il martire con il latte materno, si sposano ai piedi del suo altare, muoiono affidandosi alla sua intercessione. È un vero patto di sangue tra popolo e patrono. Vitrugna, il nome vernacolare del paese, nella sua accezione ellenica, rimanda alla coltura dei vitigni. Botrugno è dunque la sacra vigna oronziana. Il vino nel sacrificio eucaristico diviene sangue prezioso di Cristo, il sangue del Dio-uomo per cui i martiri offersero il proprio. Oronzo fu il primo cristiano a bagnare col sangue la terra pugliese: Botrugno allora non poteva non divenire un suo feudo. Ecco perché i botrugnesi si sentono, in modo concreto, figli di sangue del primo vescovo di Lecce.
La loro venerazione per il santo sembra sorgere nel 1656, a motivo dello scampato pericolo della peste che aveva desolato l’intero reame napoletano. La cosa appare comprovata dall’assenza del nome Oronzo nei registri parrocchiali prima di tale anno. Il culto tuttavia si rafforzò in seguito al terremoto del 20 febbraio 1743. Una tremenda sciagura dalla quale gli abitanti del piccolo comune si ritennero salvati dal martire. Per tale ragione il patrono non viene festeggiato solo il 26 agosto, sua memoria liturgica, ma anche il 20 febbraio. In questo giorno si allestiva la macinula, un arcolaio su cui erano esposti beni agricoli da sorteggiare tra i devoti.
Ad uno sguardo superficiale questa usanza potrebbe essere giudicata come un’ingenua tradizione paesana. Essa rimanda invece a dei significati molto più profondi. Nella devozione popolare locale infatti, in grazia del martirio subito, Oronzo è divenuto un membro della corte celeste. Egli quindi può intervenire presso il trono di Dio in favore dei suoi figli. Soprattutto può dominare le forze naturali, scongiurando burrasche e siccità, allontanando la carestia e promuovendo la fecondità della terra. Quella terra che aveva intriso con il suo sangue.
Per un microcosmo contadino come Botrugno, la benedizione del santo sui lavori in campagna era essenziale e l’abbondanza dei beni agricoli ne costituiva l’effetto più tangibile. In tale ottica si comprende anche il valore del tutto singolare della campana intitolata al martire presso la chiesa matrice. Campana che veniva suonata in occasione di violenti temporali o tempeste di fulmini per chiedere l’intervento del santo affinché le colture non fossero danneggiate (essa venne requisita durante gli Anni ʼ40 per esigenze belliche ma, grazie al cielo, restituita alla comunità).
Molto significativo è poi anche il fatto che il settecentesco simulacro del patrono, ancora oggi portato in processione, sia stato realizzato in legno d’ulivo. Un inno botrugnese esprime appieno i sentimenti di questo popolo di fedeli: “Salve, salve Oronzo santo, / nostro grande protettore, / tu ci doni con l’amore / il coraggio della fede. / Testimone del Vangelo / alle genti del Salento / lo portasti, qual via al cielo, / sommo ben di libertà. / Serba sempre nel tuo cuore / di Botrugno il popol santo, / che a te canta con ardore / l’inno eterno dell’amore”.
Si ringraziano don Angelo Pede, parroco della chiesa dello Spirito Santo di Botrugno, ed Andrea Bello per la gentilissima collaborazione.