La proposta di un Forum civico aperto a credenti e non credenti per una democrazia aperta e solidale. È la strada indicata anche dai vescovi italiani: “governare il Paese – scrive il card. Bassetti - significa servirlo e curarlo come se lo si dovesse riconsegnare in ogni momento. Ai liberi e forti di oggi dico: lavorate insieme per l’unità del Paese, fate rete, condividete esperienza e innovazione”.
Alla fine degli anni settanta, ai tempi del Liceo, della partecipazione al movimento studentesco e a quello giovanile della dc, della adesione all’Azione Cattolica e alla Fuci, uno dei temi più discussi, insieme a quello del rinnovamento della Dc, era quello del rapporto fede-politica. Erano i tempi del cosiddetto “riflusso”: il ritrarsi della maggioranza delle nuove generazioni dall’impegno sociale e politico e il conseguente ripiegamento verso i miti dell’edonismo reganiano.
Per intenderci, erano i tempi dei “paninari” che, a Milano dove nel frattempo mi formavo, avevano il loro punto di riferimento a piazza San Babila e dove sfoggiavano le migliori griffe, cresciuti all’interno di una cultura politica tendenzialmente borghese e di destra. Come oggi, anche allora si lamentava, una certa latitanza dei cattolici dall’impegno politico. Nelle analisi più superficiali, quel disimpegno era visto come effetto della cosiddetta scelta religiosa che la maggiore associazione laicale, l’Azione cattolica, che fin dalle origini era stata una palestra formidabile della classe dirigente del Paese, aveva compiuto sotto la presidenza di Vittorio Bachelet (assassinato come Aldo Moro dalle Brigate Rosse) per effetto della lezione conciliare e del magistero di Paolo VI. In realtà quella scelta voleva semplicemente significare la fine del collateralismo alla Democrazia Cristiana, i cui rappresentanti avevano sempre considerato quello del laicato cattolico impegnato, un bacino sicuro di voti.
La scelta religiosa è stata una grande profezia per il laicato cattolico: poter affrontare il tema dell’impegno nelle pieghe concrete della storia dentro una nuova e più profonda riflessione teologica. Da quella scelta scaturiva una modalità di dire la fede finalmente riconciliata con l’essenziale dell’annuncio cristiano che non ammette scissioni tra il momento della pratica religiosa e quello dell’impegno nella società. Grazie alla scelta religiosa dire la fede è farsi prossimo. Dire la fede è liberarsi dalle forme legalistiche e prescrittive proprie di ogni religione di origine umana. Dire la fede è confessare, con San Paolo, di non essere più sub lege ma sub gratia. Dire la fede è riconoscere il primato della coscienza.
Teologia nuova? No, teologia antica, direbbe Dossetti per il quale senza una vera riforma della Chiesa, nessuna riforma della politica sarebbe stata possibile. Non poteva essere la scelta religiosa, allora, la causa del disimpegno dei cattolici. Il cammino verso una fede adulta che quella scelta provocava, ad un certo punto è stato emarginato. Dapprima, la Chiesa gerarchica, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, ha optato per la strategia della “riconquista cattolica” degli spazi pubblici, privilegiando la “cultura della presenza” di cui Comunione e Liberazione era l’incarnazione più emblematica : un modello che concepiva la fede come insieme di interessi materiali ed etici da tutelare e per la cui difesa si potevano stringere le alleanze più spregiudicate (da Andreotti a Berlusconi) ed ogni compromesso fondato sullo scambio elettorale (voto contro tutela dei valori) era considerato legittimo. Poi, caduta la Dc sotto i colpi di manipulite, la Chiesa gerarchica ha pensato di assumere direttamente su di se, senza più nessuna mediazione laicale, la titolarità del rapporto con la politica. E’ stato il tempo dei “valori non negoziabili”, degli atei devoti e della riduzione della fede a religione civile.
Oggi, con Francesco il tema della riforma della Chiesa torna prepotente e con esso il tema della “fede che ama la terra” (Karl Rhaner). Di fronte a queste sfide, c’è nei cattolici, almeno in quelli che si dicono praticanti e negli stessi preti che la domenica dicono le omelie (brevi per non disturbare troppo chi ascolta ma soprattutto astruse e incomprensibili; omelie che sono tutto tranne una vera esegesi delle letture bibliche) una fede all’altezza?
Se nel “resto di Israele”, sotto le ceneri di una religione arretrata e disincarnata, arde ancora la spiritualità del credente, l’impegno organizzato nella politica – in questo tempo di individualismo dominante che alimenta le pulsioni sovraniste e populiste, non può non assumere forme e contenuti diversi rispetto alle esperienze del passato. I liberi e forti di oggi, come cento anni fa quando don Sturzo lancio il suo appello, non possono essere solo i cattolici, per la semplice ragione che il contrasto alle spinte nazionalpopuliste rinvia a responsabilità comuni a credenti e non credenti. Il cattolicesimo politico ha dato un contributo formidabile all’impianto costituzionale della nostra Repubblica, al riconoscimento di principi e diritti che sono ormai patrimonio della Nazione. Il compito che oggi sta dinnanzi ai cittadini “pensanti” (card. Martini) è sviluppare e tradurre in atti concreti quei principi e quei diritti. Il compito cui sono chiamati anche i cattolici è farsi popolo, camminare insieme per restituire credibilità alla politica, credibilità che vuol dire tener fede agli impegni, dire parole di verità, pensare in grande, oltre gli angusti confini degli egoismi dei singoli e delle patrie, recuperare il sogno europeo, dare speranze di futuro alle nuove generazioni. Camminare insieme “senza creare nuovi ghetti e nuovi muri”.
Qui si colloca la proposta di un “Forum civico” lanciata dal card. Bassetti con riferimento alle tante esperienze di impegno civile disseminate sul territorio attente a “cucire reti di solidarietà e di cura; capaci di essere il sale della terra e di parlare e dialogare con tutti coloro - senza distinzione di fede e cultura - che hanno veramente a cuore il futuro dell’Italia e dell’Europa”, e ripresa da Mauro Magatti, Alessandro Orsina, entrambi docenti dell’Università Cattolica, Leonardo Becchetti dell’Università Tor Vergata e Marco Bentivogli segretario nazionale Fim Cisl.
L’Appello per un Forum civico richiama una visione nuova di società e di futuro fondata su tre elementi: innanzitutto, la consapevolezza che “la soddisfazione e il senso della vita dipendono dalla capacità di contribuire al progresso di altri esseri umani e della società”. In secondo luogo, il ripensamento del modello di sviluppo vigente che “ha portato enormi benefici, ha sollevato dalla povertà mai come nel passato milioni di persone nel mondo ma ha elementi di forte squilibrio, perché orientato al massimo profitto e al benessere dei consumatori subordinando a questi obiettivi il tema fondamentale della dignità del lavoro e della tutela ambientale”. Infine, il riconoscimento che la dimensione globale non annulla le specificità e le differenze dei territori, così ben sintetizzato dal “pensare globalmente e agire localmente”. Su queste basi sarà possibile sviluppare una visione della società, radicalmente alternativa a quella conflittuale e rancorosa dei nazionalpopulisti.
Anticipazioni significative di questa visione sono le tante buone pratiche promosse dai mondi vitali della società: dal volontariato che fa accoglienza alle imprese sociali che rispondo alle domande di integrazione, ai laboratori urbani che ricostruiscono le relazioni comunitarie, alle start-up innovative che con coraggio sottraggono le giovani intelligenze dalla fuga cui altrimenti sarebbero condannate a causa del lavoro che manca nei loro territori, alle cooperative che tentano di restituire alle comunità il maltolto rappresentato dall’enorme quantità di beni sottratti alle mafie. Queste realtà, insieme a tantissime altre espressioni del pluralismo culturale del Paese, rappresentano senza dubbio un nucleo significativo della grande rete evocata dall’Appello.
Il Forum civico non può essere la promozione dell’ennesimo partito politico, né tantomeno la riproposizione di un partito cristiano.
Il Forum civico, al contrario, deve essere un servizio che credenti e non credenti, uniti da una comune ispirazione culturale che trova le sue radici nei valori della democrazia rappresentativa e della solidarietà così come espressi dalla Costituzione e negli ideali europei, offrono alla politica perché quest’ultima torni ad essere il luogo dove si afferma il bene comune.
Il Forum civico deve essere un servizio che si pone l’obiettivo di ricostruire la credibilità della politica, e della politica autenticamente democratica.
L’aggettivo civico, infine, rinvia alla civitas, alla città. Ciò significa che il Forum non può essere una iniziativa calata dall’alto, ma l’espressione di una mobilitazione dal basso, a partire appunto dalle città.
I liberi e forti di oggi sono i cittadini, credenti e non credenti, che si prendono cura del prossimo, consapevoli, come insegnava Giorgio La Pira che “la sola metodologia di vittoria è la rinuncia a se stessi, il distacco radicale dalla propria piccola sfera, l’apertura (come conseguenza di questo distacco e di questo taglio) alla sfera mondiale di Dio: gli strumenti che suggerisce l’ambizione, la colpa, la meschinità, sono strumenti radicalmente privi di efficacia politica.”