Giova tornare a riflettere sul gesto del Cardinale Elemosiniere Konrad Krajewski, ovvero don Corrado, come lo chiamano i poveri oltre Tevere, a Roma.
Molti lo hanno conosciuto, pochi lo hanno preso sul serio. E lui invece ha preso sul serio l’invito di Francesco. Quando lo fece vescovo, sei anni fa, gli disse: “La scrivania non fa per te, puoi venderla; non aspettare la gente che bussa, devi cercare i poveri”.
E lui ogni notte se ne va in giro per le strade di Roma con un furgoncino carico di viveri, coperte, generi di prima necessità, da distribuire ai senzatetto. Lo conoscono i poveri per i quali ha pagato le bollette (tre milioni e mezzo nel solo 2018); lo conoscono i rifugiati siriani ai quali ha ceduto il suo alloggio, contentandosi di dormire in ufficio; lo conoscono i militari della capitaneria di porto di Lampedusa, lo conoscono i terremotati di Amatrice ed Ascoli Piceno, lo conoscono i pellegrini che sostano nella piazza di San Pietro, i poveri e gli sbandati che trovano una barberia e un ampio box docce, lo conoscono i senzatetto ai quali non fa mancare viveri e sacchi a pelo.
Ma la carità non fa notizia e le autorità non si sono accorte di lui. Don Corrado però si è fatto sentire, ed anche il 6 maggio aveva telefonato, aveva segnalato, aveva implorato, aveva persino preannunciato: “la situazione è grave, insostenibile… se non intervenite voi, stasera interverrò io stesso. Aspetto sino alle 20”. E alle 20 aveva di nuovo telefonato. Ed allora è intervenuto, lasciando poi il proprio biglietto da visita, perché ciascuno potesse sapere il nome e il cognome del responsabile del gesto inaudito.
Fu disobbedienza civile? Attenzione prima di rispondere. La disobbedienza è sempre riferita ad un ordine o ad una norma. Ma quale norma? Gesù stesso ha detto di dare a Cesare quel che è di Cesare. E sicuramente le bollette sono di Cesare. Ma qui, a Roma, il 6 di maggio erano in ballo le bollette o qualcosa di più? Il regolamento di un’azienda o un’obbligazione morale? A Roma erano in gioco la qualità della vita e forse persino la sopravvivenza di chi sicuramente aveva bisogno della corrente elettrica per attivare indispensabili apparecchiature elettromedicali, ne aveva bisogno per mantenere le già scarse risorse alimentari, per liberare i bambini, tanti bambini, dalle paure del buio della notte.
Fu disobbedienza o invece obbedienza - persino difficile e sofferta - ma sempre obbedienza nei confronti della legge morale?
Ci vengono in mente tantissimi episodi dell’ultima guerra, durante la quale molti si macchiarono di delitti indicibili, con l’unica motivazione dell’obbedienza verso i superiori. Già, obbedire, ma chi?
Non stiamo predicando la logica del farsi giustizia da sé. Non è questo. Stiamo rivendicando l’esercizio della responsabilità personale che non deve mai essere tacitata neppure quando ci si trova dinanzi ad una legge.
Dinanzi alla sofferenza - grave - della persona, nessuno può voltarsi dall’altra parte; nessuno può rimanere inerte; nessuno può smettere di ascoltare la propria coscienza. Anzi, se mai, ciascuno potrebbe almeno tentare di ritrovare i panni del Samaritano che scendeva da Gerusalemme a Gerico.
Il gesto di don Corrado è sicuramente inquietante; non un insulto, ma un grido d’allarme verso il gelo dilagante che ingessa la responsabilità personale e rende pericolosamente insensibili. Grazie don Corrado.