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Dal Parlamento italiano abbiamo avuto conferma che le schegge rintracciate sui campi di battaglia dello Yemen dimostrano inequivocabilmente che provengono da armi di fabbricazione italiana.
Ma ovviamente l’Italia ripudia la guerra come dice l’art. 11 della Costituzione e quindi ci importa poco capire come siano arrivate sin lì quelle schegge.
Equivoci di questo genere erano già accaduti in passato e si era tentato di porre rimedio con la legge 185 del 1990, voluta dal ministro Martinazzoli democristiano, bresciano, conoscitore attento di certi processi. Quella legge vieta espressamente l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere” (art. 1.c 6a) e “verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione”(art.1.c 6b).
E però alcune bombe italiane vendute all’Arabia Saudita vengono ritrovate sui campi dello Yemen. E non ci risulta che alcuna deliberazione sia stata assunta in questi mesi dal Consiglio dei Ministri dopo aver consultato le Camere. Ci risulta però che una coalizione guidata dall’Arabia Saudita è intervenuta militarmente nel conflitto in Yemen senza alcuna legittimazione internazionale.
Ma l’Italia ripudia la guerra.
Dagli Atti parlamentari abbiamo imparato a stare attenti al linguaggio. E quindi attenzione: l’Italia non produce armi, ma soltanto “materiali per la difesa”, che poi questi materiali possano seminare la morte sui campi di battaglia è un dettaglio, doloroso forse, ma inevitabile, giacché, come dice la Costituzione, l’Italia ripudia la guerra.
Qualche giorno fa in un documento ufficiale pubblicato fra gli atti parlamentari, scopriamo che l’industria nazionale impegnata nella produzione dei materiali per la difesa (e che non si dica armi e bombe, ma soltanto “materiali per la difesa”) “contribuisce in vario modo alla crescita del prodotto interno lordo”.
Sembra incredibile: ci viene detto che produrre armi fa crescere il Pil. Ma allora qualcuno le vende, queste armi? Pronta la risposta del Ministro: il governo italiano non vende armi.
E da quando in qua un governo vende armi? Le armi le vendono le industrie, ovviamente. I governi, se mai, autorizzano o non autorizzano.
Se in Italia queste cose vengano autorizzate non lo sappiamo. È certo che qualcuno produce e vende, e lo fa con solerzia e competenza, tanto da far crescere il Pil.
E l’Italia ripudia la guerra.
Non basta. A parere della quarta Commissione del Senato occorre muoversi per consentire all’industria italiana - quella che produce armi - di “partecipare nelle migliori condizioni a progetti collaborativi e alleanze industriali”. Insomma, occorre aiutare a vendere meglio. Proprio per questo “è necessario assicurare un quadro normativo che superi ogni elemento di possibile penalizzazione delle imprese italiane, anche in ragione del crescente pericolo di acquisizioni estere ostili e del consistente rischio di vedere pregiudicate molte occasioni di cessioni e di attività imprenditoriali all’estero”. C’è quanto basta per temere che qualcuno voglia modificare l’ottima legge 185 del 1990.
Sì, l’Italia ripudia la guerra.

 

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