L’indizione dell’anno dedicato alla riflessione sull’Amoris laetitia, nel quinto anniversario della sua pubblicazione, mi ha spinto a tornare con più calma sul capitolo VIII dell’Esortazione apostolica post-sinodale, quello che, dall’inizio, ha attirato maggiormente la mia curiosità.
La mia prima impressione fu che, nella nuova Esortazione apostolica, le precedenti affermazioni magisteriali non erano semplicemente richiamate e confermate all’interno del nuovo contesto socio-culturale, ma anche sviluppate in modo da costituire l’inizio di un nuova stagione della pastorale delle situazioni matrimoniali irregolari.
Grazie al Sinodo sulla famiglia, la chiesa ha avvertito l’urgenza di non più limitarsi a proporre l’ideale pieno del matrimonio, ma di prendersi cura dei suoi figli più fragili segnati dall’amore ferito e smarrito (cf. AL 291).
Nella cura per questi suoi figli, ella continua ad ispirarsi all’esempio di Gesù, Buon pastore, che ci accoglie e accompagna con pazienza e delicatezza (cf. AL 294) percorrendo la strada che ha intrapreso fin dal primo concilio della sua storia: non condannare eternamente nessuno, ma effondere la misericordia di Dio su tutti coloro che lo chiedono con cuore sincero (cf. AL 296).
L’icona biblica: Gv 4, 5-26
Come viene accennato en passant, l’icona biblica a cui il Papa si ispira è l’incontro di Gesù con la donna samaritana, raccontato nel quarto capitolo del vangelo di Giovanni. Qui si vede come Gesù è riuscito a liberare quella donna da ciò che oscurava la sua vita e a guidarla alla gioia piena del Vangelo (cf. AL 294).
Le due scene che andiamo ad analizzare consistono entrambe in due brevi dialoghi (cf. R. E. Brown, Giovanni, Assisi, Cittadella editrice, 1979, pp. 232-234).
Gesù chiede l’acqua alla samaritana, violando i costumi sociali del tempo: Dammi da bere. La donna si burla di Lui, perché le sembra in una tale situazione di bisogno da non poter osservare le regole. Gesù le spiega che la ragione della sua domanda non è il suo bisogno o la sua inferiorità, ma la possibilità di darle acqua viva: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva.
Nel secondo dialogo della prima scena, la donna fraintende Gesù, pensando all’acqua materiale e lo considera inferiore a Giacobbe. Gesù le chiarisce che intendeva parlare di un’acqua spirituale: Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna. Allora la donna, imbarazzata, chiede l’acqua di cui parla Gesù, anche se le sue attese rimangono ancora a livello materiale.
Anche la seconda scena consiste di due brevi dialoghi.
Nel primo, Gesù prende l’iniziativa di guidare la donna a riconoscere chi Egli sia e fa allusioni alla vita personale di lei: Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui. La donna reagisce istintivamente all’indagine di Gesù e gli dà una risposta ambigua. Gesù si serve della sua risposta per rivelarle la sua verità: Hai detto bene: «Io non ho marito». Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero.
Nel secondo dialogo la donna non si chiude alla luce della Verità: anche se intavola un argomento meno personale, ella comincia a pensare a un livello spirituale. Gesù le spiega che la vera adorazione può venire solo da quelli che sono generati dallo Spirito della verità. Alla fine la donna riconosce chi è Gesù ed Egli le conferma di essere il Messia: Sono io, che parlo con te.
Grazie a Gesù, la samaritana si è sollevata dalle cose di questo mondo fino alla fede in Lui. Grazie alla chiesa ogni uomo deve poter arrivare a riconoscere chi è che parla quando parla Gesù e a chiedere l’acqua viva della Parola e dello Spirito, che solo Gesù può dargli.
La sfida che il Papa pone alla Chiesa dei nostri giorni è proprio questa: rivelare a tutti la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarli a raggiungere la pienezza del Piano di Dio in loro (cf. AL 297).
L’importanza del discernimento pastorale
Nel dialogo con la samaritana Gesù dimostra una superiore conoscenza della sua storia personale. Da parte loro, i pastori della chiesa non possono fare a meno di porsi in un atteggiamento di ascolto dei fratelli nella fede e impegnarsi in un discernimento che metta a fuoco anzitutto la situazione in cui si trovano e gli elementi da valorizzare in prospettiva.
Un matrimonio solo civile o una semplice convivenza, in cui l’unione ha raggiunto una notevole stabilità ed è connotata da responsabilità nei confronti della prole, vanno viste come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio (cf. AL 293).
Ci sono poi i fratelli che, dopo il divorzio, hanno deciso di risposarsi.
La galassia delle nuove unioni è molto varia. Ci sono infatti seconde unioni consolidate nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, con consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e difficoltà a tornare indietro. Ci sono quelli che hanno subito un abbandono ingiusto da parte del coniuge e si sono risposati. Ci sono poi i fratelli che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli. Queste unioni non sono certo paragonabili con la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari (cf. AL 298).
A questa prima fase del discernimento ne segue una più impegnativa, volta ad aiutare i fratelli divorziati e risposati a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro (cf. AL 297).
Essi sono incorporati a Cristo e ricevono dallo Spirito doni e carismi per il bene di tutti (cf. AL 299). I pastori devono saperli accompagnare in un itinerario personale in cui prendano coscienza della loro situazione di fronte a Dio e si formino un giudizio corretto su ciò che ostacola la loro piena partecipazione alla vita della chiesa, nonchè sui passi che possano farla crescere. In questo itinerario vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla chiesa e al suo insegnamento, onde evitare il rischio di dare messaggi sbagliati (cf. AL 300).
A sostegno di un efficace discernimento e accompagnamento pastorale, il Papa indica tre punti di riferimento imprescindibili, tre capisaldi della teologia morale cattolica.
Il primo è la cosiddetta Legge della gradualità, secondo cui la Legge morale è un dono di Dio per tutti: indica a tutti la strada della vita e attende che ciascuno avanzi gradualmente su questa strada, integrando i doni di Do e le esigenze del suo amore (cf. AL 295).
Il secondo è la Riflessione tradizionale della Chiesa sui condizionamenti e circostanze attenuanti. I limiti non dipendono solo da un’eventuale ignoranza della norma, ma anche dalla difficoltà del soggetto di comprendere i valori insiti nella norma stessa oppure dalle condizioni concrete che non gli permettono di agire diversamente (cf. AL 301). Solo una coscienza ben formata può riconoscere che una situazione non corrisponde alla proposta del Vangelo, eppure riconoscere ciò che, per il momento, è la risposta generosa che si può offrire a Dio (cf. AL 303).
Il terzo riferimento del discernimento morale è l’assioma Lex valet ut in pluribus, per cui la norma generale presenta un bene che non si deve mai disattendere, ma non può abbracciare tutte le situazioni particolari (cf. AL 304).
Il costante ritorno a questi principi aiuta il pastore ad applicare la norma in modo adeguato: non come una pietra da scagliare contro le persone che vivono in situazioni irregolari, ma piuttosto come una fonte di ispirazione necessaria nel processo personale di presa di decisione (cf. AL 305).
A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato…, si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare e si possa crescere nella vita di grazia e carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della chiesa (AL 305). Questo è, a mio avviso, l’apice di tutto il capitolo ottavo e, forse, di tutto il documento: la conclusione logica di un discorso ben argomentato, in linea con la Tradizione della chiesa, eppure capace di indicare obiettivi fin qui inediti nella pastorale familiare.
Il discernimento non si esaurisce nella mera applicazione della legge, ma aiuta a trovare le strade possibili della risposta a Dio e della crescita attraverso i limiti (cf. AL 305).
Tutto questo richiede pastori capaci di tenere insieme l’ideale del Vangelo e la logica della compassione. Un discernimento dimentico dell’ideale si espone al rischio del soggettivismo, mentre un discernimento distante dal dramma umano trascura la forza della tenerezza (cf. AL 308 ) e dimentica che la chiesa è la casa paterna in cui c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa (cf. AL 310).
Conclusione
Dammi da bere, dice Gesù alla Samaritana, col desiderio di donarle l’acqua viva della Parola e dello Spirito di Dio, ma anche con la capacità e la pazienza di guidarla a chiedere quell’acqua e a riconoscere Colui che può farle quel Dono.
Dammi da bere, deve ripetere la Chiesa ad ogni suo figlio che si trovi a vivere l’amore fuori dal vincolo matrimoniale, per non averlo ancora scelto oppure per averlo infranto.
Si tratta di aiutare i divorziati, procurando che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo, anzi dovendo, proprio in quanto battezzati, partecipare alla sua vita (cf. Familiaris consortio 84). Si tratta anzi di aiutarli a crescere nella vita di grazia e carità, incoraggiando percorsi di santificazione che danno gloria a Dio (cf. AL 305).
La sfida lanciata da Amoris laetitia è rivolta anzitutto a coloro che sono chiamati a servire i fratelli nel ministero ordinato, perché facciano propria la logica della misericordia pastorale (cf. AL 307). È anche rivolta alle comunità loro affidate, perché imparino ad ascoltare e accompagnare i propri figli nel loro cammino di crescita, sempre attente al bene che lo Spirito sparge in mezzo alle fragilità (cf. AL 308).