“Negli ultimi anni la condizione di molte persone è cambiata. Il fenomeno della povertà, al di là dei dati che tutti conosciamo, è sempre più preoccupante”.
A dirlo è Nunzia De Capite, sociologa presso la Caritas italiana. Nel mese in cui molti sono in partenza per le vacanze altrettanti, forse i più, si trovano in condizioni di indigenza. Dalle sue parole un bilancio sulle nuove forme di povertà.
Dottoressa, com’è a oggi la situazione nel nostro Paese?
Il nostro osservatorio nazionale già lo scorso anno ha rilevato una quota di persone “nuove” che si sono rivolte alla Caritas. Il fenomeno naturalmente è stato acuito dalla pandemia con un picco mai registrato, ma il vero problema è che queste persone una volta entrate nel nostro circuito di aiuti non riescono più a uscirne. Restano “imbrigliate nelle maglie della povertà” senza occasione di ripresa.A loro si aggiungono, inoltre, i tantissimi altri che sono seguiti da anni dalle nostre strutture. Le tendenze sono in crescita e questo non è confortante. Purtroppo è sempre più facile cadere in povertà e allo stesso tempo è sempre più difficile uscirne.
Oltre che dalla pandemia, da cosa è data questa crescita esponenziale di nuovi poveri?
Stanno venendo fuori tutte quelle problematiche legate al lavoro e ad alcuni strumenti di welfare. C’erano molte situazioni di “galleggiamento” che permettevano a molte persone di non cadere in povertà. Molte di loro sono crollate e tantissima gente si trova senza reddito o con un reddito molto basso. Anche il Reddito di cittadinanza, entrato in vigore prima di questo picco di richieste di aiuto, non è servito a sistemare le cose.
Qual è il profilo di chi si rivolge ai centri Caritas?
Le persone sono sempre più disperate, non c’è solo il senzatetto o chi si trova in condizioni di assoluta indigenza. Sono sempre di più le richieste di assistenza che arrivano da persone che hanno delle entrate economiche, come giovani sotto i 35 anni o coppie con figli. Anche il reddito medio di chi si rivolge a noi è aumentato. In questo momento si aggira attorno ai mille euro, che in molte situazioni sono nulla per mandare avanti una famiglia. Molte di queste persone, avendo uno stipendio, non accedono al Reddito di cittadinanza e si trovano in un limbo dal quale non riescono a uscire. Un altro fenomeno che ho notato è che, una volta, molti di loro avevano remore nel rivolgersi ai centri di aiuto. Oggi questo non accade più, sia per il lavoro d’informazione svolto negli anni sia, purtroppo, per le reali condizioni di bisogno.
Secondo lei c’è soluzione al problema?
È un problema enorme, servono riforme che prendano in esame tutta quella parte di cittadinanza che è in condizioni di povertà non assoluta, ma che vive comunque in condizioni difficili. Questo non va bene, non si deve creare un divario troppo grande che finirà col coinvolgere sempre più persone. Non si deve rimanere troppo legati a uno strumento in particolare, ma aiutare semplicemente chi è povero. E sono tanti e in crescita: ce lo dice l’Istat, la Caritas e qualsiasi studio di settore. L’unica domanda da porsi è: “Come si aiutano queste persone?”. Si deve “tornare al nocciolo” della questione e agire di conseguenza.