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Si chiama don Claudio Burgio ed è cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano. Ha incentrato la pastorale sull’ascolto. Ha raccolto la ‘fatica’ dei giovani a vivere, perché gli adulti basano tutto sull’emergenza educativa.

 

 

 

Negli ultimi mesi assistiamo ad un vertiginoso aumento di reati compiuti da minori. Don Claudio è certo che i reati sono espressione di una rabbia generazionale che sta emergendo in tutta la sua evidenza. E in un’intervista ad Aci Stampa ha affermato. “Da una parte, c’è una sorta di ricerca di adrenalina che non riescono a trovare in altre situazioni, dall’altra c’è una mancanza di senso di fondo su cui mi interrogo spesso. Questi ragazzi vogliono produrre un’immagine di sé grandiosa, vogliono avere i soldi, il potere, essere visti. Ma sono analfabeti dal punto di vista emotivo, perché nessuno li ha mai educati all’empatia, non sono mai stati accompagnati nel vivere il dolore, il loro e quello degli altri. E non mi riferisco solo ai ragazzi di periferia o di seconda generazione, ma anche ai ragazzi di buona famiglia”.

E don Claudio prova a educarli con il Vangelo. Il Sinodo ci invita a uscire per strada, ad ascoltare. Dobbiamo riscoprire come essere presenti e con quali ‘strumenti’, per stare con i giovani. Don Claudio è certo: “la Chiesa deve avere molto coraggio per tornare a vivere il Vangelo sulla strada”. “Nessuno insegna più che la vita è un passaggio in funzione dell’eternità. A partire da noi preti, che non predichiamo queste verità. I genitori sono poi più preoccupati di piacere che di amare, quindi, fanno gli amici e non sanno dire ‘no’. Eppure, i ragazzi mi confessano che di amici ne hanno già e che vorrebbero che mamma e papà si comportassero da adulti”.

 

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