La guerra è una follia. Nella guerra l’uomo cessa di usare il cervello, getta la ragione nella spazzatura, c’è un blackout del pensiero, del confronto per costruire la casa comune che è la nostra umanità.
La guerra è uno scontro sul piano della forza, per cui non vince chi ha ragione ma chi è più forte. Per questo chi è più debole la subisce in maniera devastante.
Di fronte a questa catastrofe non possiamo rimanere inermi. Ma cosa fare?
La tradizione cristiana ci ha insegnato che il digiuno e la preghiera possono fermare le guerre. Aggiungo anche la condivisione della vita con chi soffre. Sono queste le armi della pace e della nonviolenza. Questo è Vangelo, è dottrina sociale della Chiesa. È soprattutto intelligenza d’amore, che ogni uomo di buona volontà sente naturalmente, tant’è che stanno aderendo tantissime organizzazioni e singole persone all’iniziativa “Stop the war now” - di cui la Comunità Papa Giovanni XXIII è capofila - nata proprio dalla volontà di essere al fianco delle vittime. La volontà di dire, con la semplice presenza: “Non possiamo fermare il conflitto ma non vi lasciamo soli”. È questo il cuore della condivisione, dell’essere fratelli. È la cosa più umana che abbiamo.
Da marzo siamo presenti in Ucraina con i giovani dell’Operazione Colomba e quelli di altre 160 organizzazioni del mondo civile ed ecclesiale. Presenti per condividere le sofferenze del popolo ucraino, per portare aiuti e per accogliere centinaia di persone nelle nostre famiglie e parrocchie. Stiamo anche costruendo pozzi laddove i bombardamenti li hanno distrutti.
Questa presenza ci spinge a gridare con forza a chi ha la responsabilità politica che occorre immediatamente arrivare ad un cessate il fuoco e un negoziato, perché chi subisce la guerra è la povera gente, il popolo ucraino e anche quello russo schiacciato dalle sanzioni. Il dialogo è impellente e va ricercato a tutti i costi, come ripete Papa Francesco. Mai, negli ultimi decenni, il rischio che si ricorra alle armi nucleari è stato così concreto, sarebbe la devastazione dell’umanità. Il nostro appello ai responsabili che hanno in mano la possibilità di un dialogo, allora, è di non fare muro contro muro e cercare sinceramente il negoziato, agire per e, non contro. Anche se la condanna dell’aggressore e della violenza perpetrata resta fortissima. Dialogare non significa cedere alle pretese russe. No, il violento va richiamato fortemente, anche con sanzioni, ma sempre con l’obiettivo di costringerlo a un dialogo. Oggi invece si rischia che le sanzioni ergano un muro contro muro sempre più invalicabile, allontanando la pace.
Gli attacchi della Russia vanno condannati e il diritto di un popolo a difendersi va riconosciuto, ma che l’uso delle armi non sia la via vincente ce lo insegna la storia. Anche oggi mentre diciamo che alle armi bisogna rispondere con altre armi, decine di migliaia di giovani stanno morendo, russi e ucraini. È sotto gli occhi di tutti che la lotta fratricida - in questo caso ancora di più perché le radici sono comuni - porta alla devastazione delle cose e delle persone. Non c’è più vita.
Il mondo deve recuperare la ricerca di assoluto, la sete di infinito, perché c’è una mancanza di senso e un gran bisogno di tornare alle radici profonde dell’umanità, la cui essenza deriva dall’essere tutti figli di un Padre che ci vuole bene, che ci ha dato la vita e il creato, e ci vuole fratelli. Don Oreste Benzi diceva che “dobbiamo essere contemplativi di Dio nel mondo” e che “non c’è nessuno più impegnato su questa terra di chi è immerso in Dio”.