La sera dell’arresto del boss Matteo Messina Denaro a Castelvetrano, epicentro della sua vita e dei suoi interessi, è scoppiata la festa. Festa e gioia solo per alcuni.
Con un tam tam di messaggi Whatsapp circa duecento persone, soprattutto ragazzi, si sono ritrovati spontaneamente nel centro del paese per celebrare un momento importante per la storia di quel territorio. Nei giorni successivi - mercoledì mattina - è arrivato il momento della manifestazione ufficiale, organizzata dal comune. Circa 400 i partecipanti con il coinvolgimento delle scuole. “Facciamo i convegni ma qui, che è un luogo simbolo, non è venuto nessun rappresentante delle istituzioni. C’erano solo gli amministratori locali”, riferisce don Giuseppe Undari, parroco della chiesa madre di Castelvetrano.
Com’è stata accolta la notizia dell’arresto del boss in paese?
In paese sono presenti reazioni diverse: tra chi ha vissuto la notizia come una liberazione, chi l’ha vissuta con cinismo, chi con indifferenza, chi non ha avuto paura di manifestare pubblicamente e chi è rimasto chiuso in casa. Perché purtroppo bisogna riconoscere che questi territori sono mortificati da risposte politiche inadeguate ai bisogni del territorio. Ho incontrato persone che mi dicono: ‘Voi siete scesi in piazza, ma la politica ha dato risposte?’. Per loro le risposte sono quelle che ha dato Messina Denaro.
Qual è stata la partecipazione alle manifestazioni?
La partecipazione è stata poco rappresentativa delle varie realtà che sono presenti nel territorio. Questa non è una cultura di oggi, è un substrato che si è formato nei decenni. Oltre a ciò, c’è anche paura. Le comunità ecclesiali che si ispirano al Vangelo non hanno vinto questa paura e non erano presenti. Perché in piazza c’erano l’Agesci, molti cittadini e qualche associazione. Che hanno una certa sensibilità verso il fenomeno, conoscendolo e schierandosi contro. È una formazione ma è anche spontaneità. La sede degli scout nasce in un bene confiscato. Le confraternite, le associazioni, i movimenti dov’erano? Chi si è esposto? Chi ci ha messo la faccia? Il sottoscritto, il gruppo dei ragazzi e gli scout. E gli altri?
E i genitori dei giovani?
Molti non ci sono. Le dico di più: mi diceva una docente che alcuni dei genitori non hanno dato il permesso alla scuola per far partecipare i figli alla manifestazione organizzata dal sindaco con la presenza della scuola. E, in questo caso, ci sono di mezzo circolari scolastiche. Non era una manifestazione spontanea come quella della sera dell’arresto.
Questo fatto che cosa ci dice?
Che incidiamo poco a livello culturale. Se questa cultura, che non tiene conto degli omicidi e degli attentati, risulta vincente e permane, allora vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Che ci sono meccanismi che entrano in gioco e andrebbero valutati. Anche a livello ecclesiale dobbiamo dare risposte più incisive. C’è un clima di paura ancora da superare.
A livello ecclesiale quali sono le sfide?
Ho incontrato recentemente il vescovo e gli ho fatto presente le difficoltà del territorio. Si è insediato da alcuni mesi, ma essendo siciliano sa bene cosa significhi vivere in un territorio segnato dalla piaga della mafia. Vedo che i ragazzi sono predisposti e sensibili a questi temi. A dicembre c’è stato anche un femminicidio e vorremmo organizzare qualcosa che ci permetta di riflettere sui temi della prepotenza e della violenza, sulla tendenza ad assoggettare gli altri. Il vescovo mi ha chiesto di fare qualcosa. I ragazzi che ho sentito durante la manifestazione e con cui intendiamo avviare un percorso hanno le idee chiare. Gli adulti meno.