I dati offerti dalle Istituzioni internazionali che operano nel contesto della mobilità umana, con particolare riferimento alle situazioni di emergenza collegate a tale fenomeno, mostrano come l’accoglienza deve confrontarsi con l’impatto di esigenze, fatti e realtà che costituiscono la principale causa degli spostamenti di popolazione, sia per motivi volontari che involontari.
Se nei motivi volontari si stimano come prevalenti l’insufficienza dei mezzi di sussistenza, le condizioni di vita, il ricongiungimento con precedenti immigrazione, come pure la ricerca di migliori opportunità educative e di formazione, tra le cause che involontariamente spingono a lasciare la propria terra, spiccano certamente il conflitto, l’instabilità politica, la violenza e la persecuzione, accompagnati dalle calamità naturali oggi sempre più collegate alla questione ecologica ed ambientale. Non mancano poi le situazioni di violenza collegate a fenomeni di sfruttamento, di tratta clandestina o di tratta di esseri umani che giunge fino a strutturare forme di lavoro forzato.
Le dinamiche di crescita della popolazione mondiale, tra tassi di fertilità e aspettative di vita, sono ulteriore fattori di preoccupazione e certamente elementi da considerare per proporre una lettura organica e strutturata, ma soprattutto rinnovata, della accoglienza.
La domanda è se possano ancora essere erette barriere o se l’accumulo di regole poste a regolare i flussi di ingressi sia sufficiente a far parlare di coerente accoglienza. Sembra infatti che nonostante gli sforzi sia ancora lontana l’idea di includere nelle politiche e nelle attività di accoglienza ogni elemento che possa consentire la previsione di situazioni non ordinariamente previsti e la conseguente operatività. Basti pensare alla diversa qualificazione attribuita a chi giunge o bussa alle porte di altri Paesi, con i termini immigrato, esiliato, richiedenti asilo, rifugiato, migrante, turista, studente… che richiedono necessariamente un diverso modo o approccio da parte delle Istituzioni sia per i profili più direttamente legali che per quelli di inclusione sociale, dal momento che ad ogni termine corrisponde diversità di significato e di trattamento.
Ordine pubblico, diversità culturale, differente religione non possono porsi come ostacolo, né l’accoglienza può essere subordinata alla perdita della credibilità umanitaria che le regole internazionali hanno elaborato come fattore essenziale per garantire la tutela della persona in ogni situazione. Parimenti ha la sua forza il criterio di vulnerabilità che significa individuare i bisogni specifici dell’accoglienza, che si pone così anche come uno dei criteri su cui fondare i diritti umani. Questo apre diverse sfide non solo in termini di sicurezza o di risorse, ma di linea politica più generale, come mostra l’evoluzione del diritto di asilo e l’attenzione ad esso rivolta (oggi nel contesto europeo trova, per la prima volta, l’attenzione dalla recente iniziativa dei cittadini dell’Ue per la raccolta di un milione di firme con cui chiedere provvedimenti nuovi da parte dell’Ue).
Dall’accoglienza va eliminato, almeno attenuandone il rischio, ogni orientamento discriminatorio, quello di un’accoglienza selettiva o quello della dualità di approccio da parte delle politiche e dei trattamenti riservati a chi lascia il proprio Paese approda in altri Stati.
Costruire l’accoglienza diventa il modo per favorire la resilienza di chi si muove, e di garantirgli i bisogni specifici. Sul terreno questo significa monitorare il percorso della mobilità, la dimensione della resilienza, la tipologia di sostegno evitando irrigidimenti e soprattutto l’assenza di governance (che è poi la questione essenziale).
La mobilità umana, infatti, e fenomeno che va governato in termini di continuità, strutturazione e ordinarietà e non più vista come forma di emergenza da affrontare con attività emergenziali.
In questo quadro l’accoglienza diventa il passaggio dalla compassione alla cura.