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“Chiediamoci - ha detto Papa Francesco nel Regina Caeli di domenica scorsa - se siamo disposti ad aprire le braccia a chi è ferito dalla vita, senza escludere nessuno dalla misericordia di Dio, ma accogliendo tutti”.

 

 

 

Un interrogativo che risuona anche nel 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane a Salerno aperto a ieri e che si chiude il prossimo 20 aprile “Agli incroci delle strade. Abitare il territorio, abitare le relazioni” (e a cui partecipa anche una delegazione leccese LEGGI).

Uno stimolo per tutti a riflettere sulle ferite dei nostri tempi, a partire dalla situazione dei migranti, che continuano a morire in mare in cerca di futuro.

Su scala globale il fenomeno è in aumento: il numero di rifugiati e sfollati ha già superato i 100 milioni. Sulle coste italiane dall’inizio dell’anno a oggi sono stati oltre 30mila i migranti sbarcati, poco meno del quadruplo nello stesso periodo dell’anno passato, ma ben lontani dagli oltre 170mila sbarchi dal 2014, in buona parte da Siria e da Stati africani, e dai più di 180mila sbarchi del 2016, molti dei quali dalla Nigeria. Dopo la strage di Cutro il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per 6 mesi. Una soluzione che consente di stanziare fondi ad hoc e anche l’emanazione di ordinanze, in deroga alle norme in vigore. Il fenomeno è però strutturale e chiede l’impegno di tutti per uscire dalla logica emergenziale e trovare rispose organiche, di medio-lungo periodo, coordinate anche a livello europeo. Il decreto 20/2023 (detto anche “decreto Cutro”), attualmente in discussione, si occupa di “disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione illegale”. Senza entrare qui nel dettaglio delle varie previsioni, accenno solo all’istituto della protezione speciale che ha garantito a persone irregolarmente presenti sul territorio di poter sanare la propria posizione tenendo conto del grado di integrazione raggiunto nel nostro Paese.

Se fosse cancellato o ridotto, molte persone, una volta scaduto il permesso di soggiorno, rischierebbero di essere espulse, a patto che esista un accordo in tal senso tra l’Italia e il paese di origine, oppure finirebbero in una condizione di irregolarità, vulnerabilità e marginalità.

Una marginalità alimentata anche da un altro fenomeno ormai strutturale nel nostro Paese, cioè quello della povertà. Il 9,4% della popolazione vive infatti in una condizione di povertà assoluta: quasi 5,6 milioni di persone, oltre 1,9 milioni di famiglie, che non hanno il minimo necessario - in termini di beni e di servizi - per vivere dignitosamente. Anche su questo fronte adesso è tempo di concretezza e spirito costruttivo. Per poter elaborare un progetto condiviso sulle politiche contro la povertà. Il Governo ha dichiarato l’intenzione, condivisibile, di sostituire il Reddito di Cittadinanza con due misure, una rivolta ai poveri che non sono in condizione di lavorare e l’altra destinata a quelli che, invece, lo sono.

È la strada scelta anche dalla proposta Caritas, con Assegno sociale per il lavoro (Al) e Reddito di protezione (Rep). Seguendo i modelli europei, una è una misura di inserimento lavorativo per persone occupabili in difficoltà economica e l’altra è una misura di tutela di un reddito minimo per le famiglie povere. Puntare su due misure distinte e con profili chiaramente definiti e differenziati, come nel caso di Rep e Al, avrebbe vari vantaggi, renderebbe più semplice ed efficace la gestione degli interventi e l’organizzazione dei servizi e offrirebbe maggiori possibilità di costruire risposte adatte alle specifiche caratteristiche dei diversi percettori.

*direttore di Caritas Italiana

 

Forum Famiglie Puglia