Nei giorni successivi alla nomina del card. Semeraro a Prefetto della Congregazione per le cause dei santi molti hanno provato a ricostruire i passaggi salienti della sua vita, segnata da servizi ecclesiali di rilievo, abbastanza diversi tra di loro, che hanno richiesto di volta in volta non solo un trasloco fisico da un luogo ad un altro, ma anche, e soprattutto, una transizione interiore, quasi una conversione.
Tra questi uno in particolare merita di essere richiamato. Mi riferisco al passaggio dal servizio di docente a quello di vescovo di Oria. Dopo circa 25 anni di insegnamento della teologia presso l’Istituto teologico pugliese “Regina Apuliae” di Molfetta oltre che presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, la nomina episcopale ha rappresentato ben più che un semplice “passaggio di cattedre”: da quella di docente a quella di pastore. Si è trattato, invece, di un nuovo inizio, portatore di una sfida inedita, quella di diventare pastore di una chiesa particolare.
Non sarà stato semplice per don Marcello abbandonare gli abiti del professore e del teologo, abituato com’era a trascorrere diverse ore della giornata nella ricerca teologica, sfociata in un numero rilevante di pubblicazioni, e poi nel tempo dedicato alle lezioni accademiche e all’ascolto degli studenti. Ciò che ha reso meno faticoso questo passaggio è stata probabilmente la coincidenza dell’oggetto verso il quale fino ad allora aveva indirizzato le proprie ricerche e che da quel momento diventava la destinazione delle sue cure di pastore.
Come docente di ecclesiologia, infatti, don Marcello ha indagato a lungo il mistero della Chiesa, in ascolto dei grandi padri e maestri, con un’attenzione del tutto particolare ad approfondire la lezione del Vaticano II, cui sono dedicati diversi dei suoi scritti, e a cui ha fatto appassionare i tanti studenti che ha potuto accompagnare nei vari percorsi di formazione teologica.
La nomina alla sede episcopale di Oria nell’ormai lontano 1998 ha rappresentato, in tal senso, una interruzione feconda, perché ha determinato un “ricominciamento” ministeriale, in virtù del quale il servizio reso alla teologia ha dovuto fare i conti con l’azione ecclesiale, invocando una conversione pastorale. Di questa transizione esistenziale si trova chiara traccia nelle tante lettere pastorali scritte da don Marcello prima alla chiesa di Oria e poi a quella di Albano. Attraversandone i contenuti, si ha modo di notare come il suo pensiero teologico, pur restando il cantus firmus che dà unità all’intero magistero episcopale, tuttavia si è lasciato progressivamente provocare e rimodellare dai processi ecclesiali, dalle vicende concrete di due chiese particolari, dalla storia di un popolo, insomma da tutte le realtà con le quali il servizio episcopale lo ha posto in relazione.
Uno sviluppo del genere ha permesso di far maturare un profilo di vescovo che, nel governo di una chiesa particolare, è riuscito a mantenere chiara una visione, potendo così attivare processi ecclesiali di partecipazione e di corresponsabilità e accompagnando le comunità ecclesiali da lui guidate in percorsi coraggiosi di rinnovamento. Ed ora nel servizio di Prefetto siamo sicuri che non rinuncerà a questo stile pastorale che lo ha contraddistinto fino a questo momento e che, nel servizio alla Sede Apostolica e alla Chiesa universale, rappresenterà senza dubbio una nota in più particolarmente necessaria per la stagione ecclesiale che stiamo attraversando. Per questo a lui gli auguri più sinceri per un ministero ancora fecondo, insieme alla gratitudine per tutto il bene compiuto nel campo della formazione teologica di tanti preti e laici pugliesi e nella crescita della nostra istituzione accademica regionale.
*Preside della Facoltà Teologica Pugliese