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A marzo 2020 scuola e Università sono state travolte dall’emergenza da Covid-19: lezioni sospese, studenti e docenti a casa e didattica a distanza.

 

 

A settembre la vita scolastica e universitaria è ripresa, ma appena il virus ha iniziato nuovamente a circolare di più alcune Regioni, prima tra tutti la Campania, sono tornate alla Dad, poi anche il governo l’ha scelta a partire dalla seconda media e per le superiori, per far fronte alla seconda ondata di Covid. Eppure, “governare l’inatteso” si può. Ci crede la Società italiana di ricerca sull’educazione mediale (Sirem) che attraverso due webinar (13 e 20 novembre) ha focalizzato l’attenzione sull’attuale scenario educativo legato al Covid e/o post Covid. Ispirandosi al classico di Karl E. Weick e Kathleen M. Sutcliffe, “Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci di affrontare le crisi con successo”, la Sirem ha voluto condividere nuove idee superando le scorciatoie cognitive e confrontandosi per l’adozione di una riflessione sistemica che superi l’abusata e riduttiva dicotomia presenza e distanza. Ne parliamo con il presidente della Società, Pier Cesare Rivoltella.

Professore, come è cambiato lo scenario educativo per la pandemia da Covid?

L’emergenza ha “forzato” le pratiche degli insegnanti e dei dirigenti scolastici a considerare il cambiamento come una necessità inaggirabile. Questo, in particolare per le tecnologie digitali e i metodi didattici innovativi, ha significato la possibilità di trovare spazio tra le esperienze e di dar vita a delle sperimentazioni che in alcuni casi si sono segnalate per significatività ed efficacia. Qualcosa di simile hanno vissuto anche le Università, dove comunque la tradizione della didattica trasmissiva in aula rimane forte: anche in questo caso la spinta al cambiamento e all’innovazione è stata ed è forte. Un ultimo accenno merita la famiglia. La Dad e lo smart working, in questo caso, hanno ridefinito spazi e tempi della vita familiare, in alcuni casi erodendo spazi alla comunicazione, in altri restituendo alla famiglia la possibilità di dialogare aprendo in questo senso nuovi spazi dell’educare.

 

Quali soluzioni innovative si possono prospettare sia per la scuola sia per l’università rispetto alla complessità della situazione contingente? Come “governare l’inatteso”?
Come Sirem, la Società italiana di ricerca sull’educazione mediale di cui sono presidente, abbiamo organizzato due webinar proprio per discutere di come “governare l’inatteso” nella scuola e nell’Università. “Governare l’inatteso” è il titolo di un celebre lavoro di Weick e Sutcliffe in cui gli studiosi americani suggeriscono alle organizzazioni di evitare “scorciatoie cognitive”, ovvero di adottare soluzioni standard basate sulle esperienze pregresse. Nel caso della scuola e dell’Università alcune di queste scorciatoie sono la convinzione che la presenza sia meglio della distanza; l’idea che la scuola e l’Università siano un luogo in cui si insegna e non dove si apprende; l’idea che sia impossibile valutare a distanza. L’inatteso si governa evitando queste scorciatoie. E può voler dire, ad esempio, pensare a tutto ciò che si può fare meglio in ambiente digitale; e invece pensare a tutto quello che non si può fare se non in presenza; non ritenere presenza e digitale come situazioni sostitutive, ma come dimensioni coesistenti; disarticolare la granitica unità di ora, materia, insegnante.

Esistono già buone pratiche in tal senso?

Esistono buone pratiche, certamente. Penso all’esperienza dell’Intendenza scolastica della Provincia autonoma di Bolzano, che ha deciso di affidare a un percorso di ricerca partecipata tra Università e scuole la progettazione degli interventi di fronteggiamento dell’emergenza. Penso alle esperienze di alcuni dirigenti innovativi: Alfonso D’Ambrosio, con l’idea di immaginare la casa degli studenti come un laboratorio nella Dad, o la trovata della “lezione sospesa”, lasciata come il caffè perché qualcuno ne possa usufruire; Antonio Fini, che ha immaginato Dad e didattica tradizionale come scenari paralleli tra i quali passare in qualsiasi momento con un semplice switch; ma molti altri si potrebbero citare. Anche alcune Università si segnalano per il carattere di innovazione delle loro proposte: penso ad esempio ai progetti della Luiss e dell’Università di Foggia.

Come si può evitare che la crisi pesi soprattutto sulle fasce maggiormente coinvolte, già prima del Covid, nella povertà educativa?

Quello dell’inclusione è un tema importante. Il lockdown ci ha insegnato che i poveri in tecnologia sono poveri anche agli altri livelli: economico, sociale, culturale. Servono politiche serie di inclusione, servono più hotspot gratuiti, serve incentivare la cultura della rigenerazione della tecnologia e diffondere la sensibilità per l’informatica a basso costo. Non si può accettare che nell’Italia del 2020 molti studenti non possano disporre di connessione. Ma naturalmente non è solo questione di dotazione tecnologica. Occorre evitare in tutti i modi che la scuola continui a essere un ospedale che cura i sani, secondo la celebre immagine di don Milani.

E come superare la dicotomia presenza e distanza?

La si supera “normalizzando” il digitale, rendendolo un ingrediente abituale della didattica, sia in classe sia a casa. Occorre procedere veramente verso una prospettiva integrata: il digitale è come l’alfabeto. Non ha senso porsi il problema di contrapporre la didattica alfabetica a quella non alfabetica: questa seconda sarebbe una didattica senza linguaggio, senza grammatica, senza sintassi. Credo oggi valga lo stesso ragionamento per il digitale.

 

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