Il 2025 è l’anno in cui ricorrerà il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. C’è un grande fermento nelle Chiese in vista di questo anniversario.
Ricevendo a giugno una delegazione del Patriarcato ecumenico, Papa Francesco ha espresso l’auspicio che “la memoria di questo importantissimo evento possa far crescere in tutti i credenti in Cristo Signore la volontà di testimoniare insieme la fede e l’anelito a una maggiore comunione”. E in una lettera al Papa, il Patriarca Bartolomeo scrive: “attendiamo con impazienza e gioia spirituale la nostra commemorazione congiunta, nel 2025, del 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico tenutosi a Nicea”.
Ne abbiamo parlato con il rev. Jerry Pillay, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc). L’organismo ecumenico, con sede a Ginevra, ha deciso di designare il 2025 come anno ecumenico speciale: ci sono importanti attività organizzate dal Vaticano e dal Patriarcato ecumenico, con la partecipazione del Wcc.
Quale significato ecumenico ha il Concilio di Nicea?
Nel 325 d.C. la chiesa stava attraversando un periodo di lotte interne per quanto riguarda la risoluzione di alcune dottrine. E una delle grandi questioni irrisolte era la relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Concilio di Nicea fu la prima iniziativa presa dalla Chiesa per cercare di ottenere un consenso su ciò che i cristiani avrebbero dovuto credere. E il risultato di questa discussione fu la creazione di un Credo, che è una dichiarazione di fede che esprime chiaramente ciò che i cristiani credono, in particolare riguardo a Dio come Uno, all’intero concetto della Trinità e alla relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Nicea divenne pertanto un luogo dove si riuscì a mettere insieme una dichiarazione che divenne accettabile per tutti i cristiani. Ciò portò armonia e pace al mondo cristiano perché furono in grado di raggiungere un consenso dottrinale.
Perché è importante oggi?
1700 anni dopo, la questione della Trinità nella Chiesa non è più un punto di importante contestazione. Tutte le Chiese fondamentalmente concordano sulla relazione tra Padre, figlio e Spirito Santo. La celebrazione oggi di questo anniversario è importante perché parla dell’unità di Dio, e incoraggia le chiese, tutte le chiese e le tradizioni cristiane, a cercare la loro unità nel Dio trinitario.
Qual è la situazione attuale del dialogo tra le chiese? La sfida più grande?
Il Consiglio mondiale delle chiese conta 332 chiese membro che sono significativamente diverse tra loro. Ma la cosa sorprendente è che siamo ancora in grado di lavorare insieme. Non è un compito facile. Il Wcc è un organismo complesso e come tale è in continuo movimento. Penso alla partecipazione attiva della Chiesa Cattolica alla vita del Wcc come osservatore. Penso alle Chiese pentecostali. La consapevolezza della grande diversità che c’è tra noi, fa diventare il Wcc un posto meraviglioso in cui le Chiese possono arrivare per collaborare insieme, soprattutto sui problemi e le grandi urgenze globali che ci sono nel mondo di oggi. Penso alla povertà, ai cambiamenti climatici, alle guerre, alla violenza, alle migrazioni e a tutte le grandi sfide globali. Stiamo iniziando a renderci conto che le chiese hanno bisogno di lavorare insieme perchè insieme siamo più forti e più incisivi.
Quando però si parla di teologia, i nodi non si sciolgono…
Non è del tutto vero. Prendiamo, per esempio, l’accordo sulla dottrina della giustificazione che è stato raggiunto dalla Chiesa cattolica, dalla Federazione luterana mondiale, la Chiesa Riformata e dalla Chiesa Metodista. Quel testo è un capolavoro di innovazione teologica, perché dimostra la capacità che le chiese hanno di lavorare insieme, anche su questioni teologiche, concordando che ciò che abbiamo in comune è molto di più di quello che ci separa. Ma ci sono anche conversazioni teologiche fruttuose in corso a livello teologico e dialoghi bilaterali. Quello che sto cercando di dire è che siamo in un momento storico in cui i cristiani, i leader cristiani e le chiese, stanno sempre più capendo l’imperativo di dover lavorare insieme per guarire il mondo delle sue ferite e mostrare che la fede, la religione e la chiesa possono svolgere un ruolo significativo.
Le chiese sono divise in un mondo diviso… Discorsi d’odio, guerre senza fine, cultura del sospetto, uso delle armi per risolvere i conflitti… Qual è il messaggio di Nicea che risuona ancora oggi?
Prima di tutto il fatto che crediamo in un solo Dio. E il punto importante che segue, è che Dio è il creatore del cielo e della terra. Crediamo anche che il Regno di Dio non finirà mai. Crediamo in Gesù che è nato, è venuto ad abitare tra noi e ha sofferto. È morto ma è risorto. È il messaggio del Vangelo che il Credo di Nicea porta in un mondo diviso, dove tante persone vengono uccise in guerre e in conflitti ogni singolo giorno. Un messaggio di speranza che diventa oggi una fonte di luce nell’oscurità.
Ma le Chiese sono all’altezza di questa “buona notizia”?
Sfortunatamente, no. Siamo divisi perché siamo divisi politicamente. E questa è una delle sfide più tristi che stiamo affrontando nel mondo oggi. Molte chiese sono influenzate politicamente e alcune sono state anche usate come strumenti da parte dello Stato e dei politici. Tutto ciò impedisce alle Chiese di tornare alla purezza del Vangelo e seguire l’esempio di Gesù Cristo. La politica di partito è ciò che divide i cristiani e divide la chiesa. Ci sono ovviamente anche questioni sociali ed etiche sulle quali abbiamo opinioni diverse e questioni culturali che inevitabilmente hanno anche un impatto sull’unità della chiesa. In un mondo diviso, una chiesa divisa dalla politica, dalle questioni sociali, culturali, etiche, non è credibile. È per questo che i cristiani devono fermarsi e chiedersi: cosa ci chiama a fare il Vangelo di Gesù Cristo oggi? Penso che il Credo di Nicea ci aiuti a comprendere il fondamento della nostra fede e a proclamare tale fede come un balsamo di guarigione in un mondo frammentato e diviso. Ma se non siamo noi stessi, se ci lasciamo influenzare e sopraffare da altri aspetti invece di seguire l’esempio di Gesù, non saremo in grado né di creare unità e riconciliazione né di lavorare per la giustizia nel mondo.
Per una coincidenza di calendario, nel 2025, le Chiese d’Oriente e d’Occidente celebrano la Pasqua lo stesso giorno, il 20 aprile. Cosa impedisce di celebrare insieme la festa più importante per i cristiani?
Ci sono molti e differenti ostacoli. Credo, tuttavia, che la comune celebrazione della Pasqua il prossimo anno, possa essere un’opportunità per noi di chiederci come possiamo lavorare insieme per unirci attorno allo stesso tavolo nello spezzare il pane. Sfortunatamente il tavolo ci divide, ma la divisione è un’opera umana, non è per disegno di Dio, perché la preghiera di Gesù al Padre, fu: “che tutti siano uno”. Il tavolo che Gesù ci offre, è un tavolo offerto a tutti, è un tavolo inclusivo, non esclusivo. La celebrazione di una Pasqua comune potrebbe rappresentare allora anche un’opportunità per noi per chiederci come chiese: come possiamo celebrare non solo per stare insieme ma per spezzare il pane insieme?