Entrando in chiesa questa mattina, guardando i banchi vuoti, complice anche la giornata plumbea, fermo dinanzi al presepe e, ricordando le tante presenze più o meno note che nella messa vigiliare e in quelle del 25 dicembre hanno partecipato ai “riti della tradizione”, la domanda è sorta spontanea… “Cosa resta del giorno di Natale?”.
Per noi presbiteri la consolazione di aver avuto la chiesa piena, le tante comunioni fatte… i tanti o i pochi che sono venuti a confessarsi. Ma ora solo una chiesa vuota da ripulire al più presto, i banchi da rimettere nel giusto ordine, la sacrestia da riordinare. Finalmente? Purtroppo? Ma forse oggi a noi presbiteri è data l’occasione per vivere il Natale. Siamo nell’ottava. È il giorno di Natale. Facciamo memoria. Nella chiesa vuota facciamo memoria della grazia che ci è stata data come presbiteri e sacerdoti: cosa resta nel cuore, nel nostro cuore di uomini chiamati ad essere pastori, guide, compagni di strada. Quale piccola luce accende per noi... consapevoli che ne abbiamo veramente bisogno. Per noi, per gli altri. Perché solo se noi, oggi, ci lasciamo illuminare e colmare possiamo donare ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo luce per l’oggi.
Anche se siamo soli, accendiamo le luci del presepe. Non per dare colore alla chiesa vuota o ammirarne la bellezza ma per contemplare. E con gli occhi del Figlio di Dio fatto bambino ricordare e guardare tutti coloro che nel giorno di Natale si sono fermati dinnanzi a Lui. E far porre da Lui, a tutti, noi compresi, e a ciascuno, la stessa domanda: “Cosa resta del giorno di Natale?”.
Se avessimo occhi per cogliere solamente il visibile risponderemmo: “Ben poco”.
Forse la gioia più o meno formale, di una serata trascorsa in famiglia; qualche regalo più o meno azzeccato… tanti alimenti che, come ogni anno, non sono stati consumati nella grande abbuffata. E poi “passata la festa, gabbatu lu santu”, fosse anche Gesù Bambino, nella speranza che tra le tante cose abbia trovato posto almeno lì nel piccolo presepe o sotto l’albero, forse anche soffocato dai pacchetti regalo.
E poi? Cosa resta del giorno di Natale per coloro che sono stati solo storditi dalle luci e dai suoni, specchio di una opulenza, talvolta anche falsa, il vuoto? Cosa resta del giorno di Natale nelle famiglie che non hanno grandi problemi economici e che si accontentano del panem et circensesquotidiano ma non riescono ad alzare lo sguardo verso l’oltre, per cogliere ciò che è invisibile allo sguardo. Un oltre, un futuro che ancora non ci appartiene ma è da costruire insieme? Il non so e allora carpe diem.
Cosa è restato del giorno di Natale nella casa, nella famiglia, proprio in quella, o in questa che abita al tale numero civico… e che sembra non avere speranza? La disperazione che sembra essere ancora più nera.
Cosa resta del giorno di Natale nella non vita di tutti quei fratelli che, quotidianamente, si recano alla mensa della Caritas o nei tanti punti ristoro e che la notte faticano a trovare un posto al riparo per dormire? Ancora soltanto rabbia, amarezza, disperazione. Ma anche lì, nella disperazione, la speranza.
Cosa resta del giorno di Natale? Disperazione e Speranza.
Ma ci è stata data la grazia di cogliere l’invisibile.
Se abbiamo il coraggio di cogliere il divino invisibile che si fa bambino visibile. Se abbiamo il coraggio, come popolo di Dio, come presbiteri e laici, come comunità cristiane, di lasciarci attraversare e colmare e illuminare, noi per primi, dalla luce che passa attraverso le tenebre, avremo la possibilità di dare corpo, di far diventare storia e storie la Speranza.
E alla fine del Giubileo non dovremo dire “Cosa resta dell’Anno Santo 2025”.