Nelle grandi città le stazioni e i luoghi circostanti sono considerati poco sicuri dai viaggiatori ed effettivamente sono molti gli episodi di violenza che arrivano alla ribalta delle cronache.
Come è successo ad aprile con due aggressioni a Milano, dove una studentessa 21enne è stata vittima di violenza a bordo di un treno in transito in città e diretto verso la Bergamasca e un’altra donna è stata aggredita in un ascensore della stazione centrale. Ma il rischio riguarda non solo le donne e non solo Milano. Un rapporto di Ferrovie dello Stato, pubblicato a febbraio, spiega come i viaggiatori si sentano più sicuri all’interno dei vagoni, mentre le preoccupazioni per la propria incolumità aumentano all’esterno, nelle stazioni. In generale, l’introduzione dei tornelli ha ridotto il numero di rapine in tutte le stazioni italiane: ben l’80% in meno dal 2015. Eppure, i rischi restano, concretamente. Ne parliamo con Maurizio Fiasco, sociologo specializzato, tra le altre cose, in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica.
Professore, notoriamente le stazioni nelle grandi città sono poco sicure…
Può forse stupire, ma non è stato sempre così. Anzi, ancora negli anni Settanta gli scali ferroviari e il quartiere che li conteneva si presentavano come luoghi pregiati e sicuri. Tra le parti della città dove si mescolavano le “funzioni urbane primarie”: edifici residenziali, negozi al piano stradale, laboratori e opifici, giardini pubblici. Insomma, tutto l’assieme della stazione era collocato in un tessuto riccamente animato e per molte ore della giornata. Dalla vitalità dei luoghi si generava una sicurezza spontanea per quanti vi abitavano, vi lavoravano, vi si recavano per salire sui treni o per tornare a casa.
Da cosa deriva l’insicurezza?
Proprio dalla combinazione di due fattori essenziali della insicurezza urbana. Il primo è l’eccezionale esposizione delle merci, dunque della ricchezza in un ambiente dove non vive nessuno. Quanto di più incentivante per la criminalità “predatoria”, vale a dire per quella specializzata nel realizzare furti nei negozi, scippi e borseggi, oltre che rapine, truffe. Assenza di animazione sociale spontanea degli abitanti, vuol dire anche aumento dell’esposizione al rischio di aggressioni. Nell’indifferenza dei passanti. Affollamento senza legami tra le persone. Esonero dalla responsabilità in chi pur si trova ad assistere ad atti d’illegalità. Usiamo l’espressione tecnica (ma sdrammatizziamola): vuoto di controllo sociale spontaneo.
Se facessimo qualche esempio concreto, cosa potremmo dire della Stazione Termini di Roma? Ci sono stati errori nella ristrutturazione, vent’anni fa?
E allora andiamo alle radici dell’insicurezza. Non senza prima aver espresso indignazione per il comportamento mediatico (e politico) ricorrente di scagliare contro chi si dà carico di assistere i poveri e gli ultimi il risentimento dell’opinione pubblica per i fatti di criminalità che si ripetono nelle stazioni ferroviarie. Insomma, l’insicurezza legata alle particolari condotte delinquenziali in quella infrastruttura strategica è attribuita alla presenza di una piccolissima minoranza di senza casa, invece che alla questione specifica – in tutte le maggiori città del mondo – di come la criminalità coglie le opportunità dove transitano molte migliaia di utenti dei mezzi di trasporto. Come se i furti di rame lungo il tracciato dei binari, le aggressioni, le rapine e i cosiddetti scippi fossero imputabili ai poveri che dormono all’addiaccio.
Entriamo nei dettagli del problema…
Dobbiamo parlare, allora, del grave errore progettuale risalente, parliamo di Roma Termini, all’anno 2000. Fu adottato un modello urbanistico-architettonico che la compianta Clara Cardia definirebbe “introverso”. Cosa significa? Che la struttura, la morfologia e le funzioni di un grande complesso voltano le spalle a quanto c’è fuori del suo perimetro. Seguendo uno schema elementare quanto sbagliato. In pratica, all’interno del fabbricato si esibiscono la ricchezza delle merci, il divertimento. Vi si affacciano le opportunità, le luci, le vetrine e tanti richiami. Insomma, tutto il positivo, con mura e pavimenti tirati a lucido per i mille punti di attrazione per i viaggiatori e i clienti. All’esterno, invece, si radica tutto quanto vi è di negativo. Il caotico attraversamento delle autovetture, un frettoloso oltrepassare dei pedoni da un marciapiede all’altro. Arrivi e partenze di taxi, sia con la licenza sia abusivi. E poi il rilascio di rifiuti dei vari negozi e degli avventori. Scatoloni, bottiglie vuote, cartacce. Si è sconcertati che in 23 anni nessun amministratore della Capitale lo abbia rilevato. Dettagli di una città che è segnata da un disordinato metabolismo. E in mezzo a questo disordine si ritrovano le persone senza casa. E proprio a questo piccolo popolo di invisibili corre in soccorso la Caritas, ma ogni cittadino dovrebbe aver chiaro che si tratta di persone che hanno diritto a una vita dignitosa.
In realtà, per la Stazione Termini si è puntato il dito proprio contro l’Ostello Don Luigi Di Liegro della Caritas di Roma: come si può rispondere a quest’accusa?
I volontari dell’Ostello, con la mensa, l’alloggio, il servizio di medicina colmano in parte quel vuoto lasciato dall’autorità civile. Insieme al servizio concreto e urgente, il riconoscimento della dignità di persone è un importante messaggio di corresponsabilizzazione. La reciprocità contrasta il messaggio di estraneazione che la stazione emette così come “funziona” ogni giorno. Se anche l’amministrazione (o le amministrazioni) s’impegnassero a concepire l’assetto di quei luoghi mettendo al centro i cittadini, e non la speculazione commerciale, si realizzerebbe un continuum di qualità urbana, dunque di convivenza e di accoglienza. Con importanti conseguenze per l’integrazione effettiva per il popolo degli invisibili. Insomma, l’Ostello sia di esempio al potere civile, perché compia la sua parte, con una visione illuminata.
Qual è la situazione della stazione centrale di Milano?
Milano Centrale si affaccia su una gigantesca “piazza d’armi”. Uno spazio che apparentemente segue un modello razionalistico. Ampia estensione, ma senza alcuna funzione urbana primaria: né attività, né abitazioni, né sportelli d’accesso ai servizi. Sui lati e di fronte si staglia l’imponenza deli edifici direzionali, come quello della Regione. Ancora una superficie senza qualità, dove hanno collocato gli accessi ai taxi. E poi, circolazione veicolare veloce, disagevoli attraversamenti pedonali: di uno spazio che i passanti hanno fretta, comprensibilmente, di abbandonare al più presto. È una elegantissima terra di nessuno. Dove a mezzogiorno c’è il buio pesto, come pure di notte con le fotoelettriche. Che nessuna guarnigione di poliziotti potrebbe mai trasformare in uno spazio di transizione sicuro. Ecco perché mass media, competitori politici, opinion leader (superficiali) si scagliano contro il capro espiatorio privilegiato: i senza casa. Si preferisce stringere un pugno di mosche, invece di cambiare modello e pervenire alla fine di un incubo.