Se ne parla da giorni, un video rimbalzato ovunque in meno di 48 ore. Nell’era dei social e dell’informazione digitale, il video del discorso che Massimo Segre ha rivolto a Cristina Seymandi è diventato immediatamente virale.
Un monologo che l’uomo ha tenuto alla festa organizzata per annunciare le nozze. Davanti agli invitati, ha accusato di tradimento Cristina Seymandi, che sarebbe dovuta diventare sua moglie. «Ora vai a Mykonos con il tuo avvocato», le ha detto, elencando anche le altre relazioni coltivate in segreto dalla donna. La notizia si è diffusa velocemente anche perché lo sposo è conosciuto e stimato per la professione: è un commercialista, banchiere ed esperto di finanza.
Il video della vendetta, da come è noto, è finito in “esclusiva” su un giornale locale “Lo spiffero”.
Le reazioni sui social, i commenti, ma anche diversi articoli prese su molti giornali online, non lasciano scampo all’inquietante sospetto che per molti italiani Cristina in fondo se la sia cercata, e quella pubblica umiliazione se la sia meritata.
Milioni di visualizzazioni e milioni di commenti. Terribili. Soprattutto per la donna esposta a pubblica gogna.
Tutto on-line, tutto esposto al pubblico ludibrio, non esiste più il mondo civile dove i problemi personali, anche i più drammatici, si risolvono in privato. La distruzione della reputazione, meno di dieci minuti per un pestaggio virtuale in pubblico.
Ma anche questa è violenza. Lo è nel modo più sottile perché è mascherato dall’ondata di orgoglio dell’uomo ferito. Questo meccanismo si chiama name and shame e consiste nel denunciare sui social una o più persone per un comportamento ritenuto inaccettabile con l’obiettivo di ‘dare loro una lezione’, aizzando gli utenti con parole di odio, minacce di morte o atti di doxxing (rivelazione di dati personali). L’aspetto più drammatico è che l’azione viene fatta in nome di ideali alti e nobili, come la lotta al razzismo, al sessismo e alle discriminazioni”. Alla base c’è una sorta di ricatto morale, perché chi non partecipa alla gogna o, addirittura, prova a prendere le difese dell’accusato viene indiziato di complicità. Ne consegue che il giudizio, oggi più che mai velocissimo, intimidatorio, armato del vocabolario del linciaggio in pubblica piazza, sia ormai la normalità. Con buona pace della vittima.
I social hanno trasformato questa pratica in un’enorme processo a cui tutti possono partecipare. Messaggi di odio vengono lanciati come pugnali. Insulti, giudizi sommari. Ognuno dice la sua senza preoccuparsi delle conseguenze. Anche questo è Cyberbullismo.
Padre Maurizio Patricello, intervistato sull’argomento ha giustamente risposto: “Credo che il ricco banchiere di Torino che ha umiliato in pubblico la sua futura sposa, non aveva il diritto di farlo. Per rispetto verso se stesso, innanzitutto, e dei suoi figli. Poi della donna che aveva amato, e di sua figlia. Infine, dei parenti e degli amici costretti a prendere parte a quella imbarazzante telenovela. Se davvero tradimento ci fu, avrebbe potuto tranquillamente chiudere il rapporto. Civilmente. Democraticamente. Privatamente. Ognuno per la sua strada. E vissero tutti felici e contenti. Se fossi stato tra gli invitati mi sarei sentito offeso. Speriamo di aver capito almeno una cosa: in amore tradire è facile, come bere un bicchier d’acqua. Subire un tradimento, invece, è penoso come ingoiare un rospo grande quanto un elefante. ‘Non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te’. Vale sempre. Vale per tutti”.