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Lo storytelling può essere considerato come uno strumento di “marketing spirituale”, se a supporto dell’omelia, oppure può realmente favorire il processo comunicativo tra sacerdote e fedeli?

 

 

 

 

Don Oronzo Marraffa, sacerdote della diocesi di Castellaneta e segretario della Commissione regionale cultura e comunicazioni sociali della Conferenza episcopale pugliese sostiene questa seconda possibilità nel libro “Omelia e storytelling” (edizioni San Paolo) con la prefazione di mons. Dario Edoardo Viganò che ha già pubblicato diverse riflessioni sul tema omiletico.

Il vicecancelliere della Pontificia Accademia delle dcienze ricorda come “l’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza della Parola di Dio nell’oggi della propria vita”. E non può essere ridotta a “performance personale o omlie chakra”.

Un volume di 95 pagine che offre l’angolatura della comunicazione. Partendo dalla consapevolezza che “l’omelia è un atto di parola tra i più complessi e sottostà alle stesse regole che guidano gran parte dei processi comunicativi”, don Marraffa si sofferma sul fatto che “senza condivisione di codici, la comunicazione è bloccata”. E qui lo storytelling diventa uno strumento a servizio del trasferimento di un messaggio. Il lavoro di Marraffa affronta le dinamiche della comunicazione nel contesto di oggi. L’autore non solo si sofferma sui processi e sulle dinamiche comunicative dell’atto omiletico ma suggerisce anche l’uso di alcuni elementi propri dello storytelling per costruire un testo, di carattere orale, in cui una delle caratteristiche decisive per la comprensione è la sua narratività.

Marraffa - spiega Viganò - ci conduce a comprendere l’omelia come ‘gioco d’azione comunicativo’ composta da una sequenza di atti linguistici: è guidata da da andamenti e regole condivise dai partecipanti e pertanto omogenea e riconoscibile. Dunque, non può prescindere dalle stesse regole che guidano l’interpretazione e la conduzione del gioco di azione comunicativo che dipendono dal modo in cui un dato contesto culturale legge e costruisce esperienze di comunicazione”. 

L’autore richiama gli elementi in gioco - molteplici e di differente gerarchia -: dalla credibilità del predicatore all’empatia con la propria comunità, passando per la conoscenza di alcuni meccanismi della comunicazione. Per costruire questa sequenza, secondo Marraffa, è centrale l’ascolto da parte del sacerdote. E di pari passo una maggiore consapevolezza delle condizioni socio-culturali in cui si svolge il loro ministero.

Il messaggio cristiano richiede comunicatori che accolgano per primi nella loro vita il messaggio che annunciano”.

Al centro del volume, Marraffa ricorda il contenuto della narrazione omiletica, cioè “la Storia della salvezza”, in cui si inserisce il credente. Una storia che “è molto più significativa e importante delle altre stories su cui magari indugia, investendovi anche una notevole quantità di tempo ma che non rispondono alle domande più profonde della persona”. In quest’ottica, lo storytelling è indicato da Marraffa come “una risposta possibile alla necessità di connettersi in modo unico ed efficace con i propri destinatari contemporanei”, in modo da generare legami con la comunità, in un contesto in cui la fede in Dio è considerata dalla società attuale come opzionale.

Una strategia che si traduce in pianificazione, sviluppo e distribuzione dei contenuti attraverso il genere omiletico”. Tutto ciò privilegiando la relazione con l’assemblea nel rispetto della semplicità.

 

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