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Silenzio. Anche i bambini sono silenziosi. Nelle sale d’attesa si aspetta il treno. Al caldo visto che fuori c’è la neve e le temperature sono scese sotto lo zero. Nessuno ride. Nessuno parla ad alta voce.

 

 

 

Siamo a Przemyśl, cittadina polacca a pochissimi chilometri dal confine con l’Ucraina. Da qui ogni giorno partono treni per Kyiv e Odessa. E sono strapieni. D’altronde è l’unico modo per viaggiare nel Paese in guerra. Le statistiche dicono che Przemyśl ha visto transitare nei 20 mesi trascorsi dall’aggressione russa oltre 3 milioni di profughi ucraini e la piccola cittadina si è organizzata a questo transito di persone dando prova di grande generosità. Organizzazioni umanitarie come Caritas Polska e la Iom delle Nazioni Unite hanno adibito un sistema complesso di accoglienza.

Un punto informativo dal quale ogni giorno ancora oggi passano dalle 150 alle 200 persone e dove vengono date indicazioni relative agli orari dei treni, agli itinerari e ai documenti. Una sala di attesa dove si può entrare solo con il biglietto del treno e un timbro sul palmo della mano. Più in là c’è una sala più grande dove vengono accolti mamme e bambini mettendo a loro disposizione, soprattutto in caso di ritardi dei treni, lettini, giocattoli e beni di prima necessità come pannolini, succhi di frutta, merendine. Gli operatori non possono rilasciare dichiarazioni. Uno di loro dice solo, “basta guardarli negli occhi per capire tutto quello che stanno vivendo”.

Il treno per Kyiv e Odessa è una fila lunghissima di vagoni blu e tutte le cuccette con quattro posti letto sono occupate. Al viaggiatore vengono date lenzuola, un cuscino e un piumino, e a richiesta anche una bevanda calda. Ci vogliono almeno 10 ore per raggiungere la capitale ucraina. Ma dipende, dalle condizioni. Nella notte, la contraerea ucraina ha sventato un attacco su Kyiv condotto dalle forze armate russe con l’uso di droni kamikaze Shahed. Il sindaco della città, Vitali Klitschko, su Telegram informa che forti esplosioni, provocate dalla difesa aerea, sono state registrate nella zona Podil invitando i residenti a restare nei rifugi. Nonostante le notizie, il treno prosegue la sua corsa. Il transito di così tante persone non dipende dall’imminente periodo natalizio. Le ragioni per mettersi in viaggio e raggiungere l’Ucraina sono tante. Si portano soldi o medicinali a familiari e conoscenti. Si fa visita ai cimiteri. Si sbrigano le pratiche. È un popolo di donne e teenager. Ci sono ragazzi anche di 15 e 16 anni che viaggiano da soli. Come Yaroslav e Arsenii. Si presentano come giocatori di una squadra di pallavolo. Frequentano il liceo in Polonia ma seguono online anche le lezioni della scuola ucraina per non perdere il percorso didattico. Stanno raggiungendo la famiglia a Kyiv per le vacanze natalizie ma fanno un sacco di domande sull’Italia, sulla Sicilia, il mare… Perugia, dove è andata a vivere una loro amica. E se il sogno di tutti qui a Przemysl è la fine della guerra, le aspirazioni sul futuro variano. Yaroslav e Arsenii vogliono viaggiare. Questo mondo gli sta stretto.

Dall’inizio della guerra Julia vive con sua figlia in Repubblica Ceca. Viaggia sola. Il figlio è rimasto in Polonia. Il marito è ovviamente in Ucraina che l’aspetta. Come tutti gli uomini. È la prima volta che Julia entra nel paese da quando due anni fa ne è uscita fuggendo dalle bombe. Mentre lo confida, gli occhi le si riempiono di lacrime. È emozionata. La guerra prende anche questa piega. Spezza le famiglie. Le separa. “Difficile in queste condizioni fare progetti”, dice parlando anche per i suoi figli. “Solo quando usciremo da questa guerra, possiamo di nuovo pensare al futuro”. Prima di accedere al treno, ci si mette in fila per il controllo dei passaporti. L’attesa varia. Ma l’organizzazione, anche in questo caso, è perfetta. Irina sta raggiungendo a Kiev il marito ed è con il piccolo Ramon, 6 anni. Anche lei, subito dopo l’inizio dell’aggressione russa è uscita dall’Ucraina e ora vive in Polonia. “La guerra in Medio Oriente - dice in un perfetto inglese - ha distrutto anche l’ultimissimo filo di speranza che avevamo. Ci ha fatto capire che da questa guerra non ne usciremo presto. Che il tunnel sarà lungo. Non c’è prospettiva. Non si vedono soluzioni. Ma quello che ci preoccupa di più è che non si vede nemmeno la volontà di trovare una via di uscita. Almeno nell’immediato e più i tempi si allungano, più diventa difficile immaginare un futuro in Ucraina”. Chi è uscito e si è fatto una vita fuori, fa fatica oggi a pensare di rientrare. Irina, per esempio, lavora per una azienda che ha una sede in Polonia. Il piccolo Ramon ormai parla fluentemente il polacco e “poi - aggiunge - sono tornata nella mia città natale Odessa, ma non la riconosco più. È cambiata e in peggio”. A questo si aggiunge un’inflazione galoppante che ha purtroppo generato un rincaro dei prezzi che rende impossibile pensare una vita in queste condizioni.

Posso farti una foto? “Certo”, risponde Irina. Ha 21 anni e viaggia con un grande borsone nero. Torna a Dnipro. È venuta in Polonia per trovare sua sorella. Erano 6 mesi che non la vedeva. La sua è un’altra storia di separazione. Di viaggi percorsi sulle rotaie per incontrarsi. Il sogno di Irina è diventare veterinaria. “Frequentavo l’università”, dice, “almeno prima della guerra”. Gli occhi cambiano. Si intristiscono. Ma hai lasciato i corsi? “No. Li facciamo online e ho appena finito di dare due esami. Sono riuscita a farli qui, mentre ero in Polonia”, risponde la ragazza. Il treno sta partendo. Deve andare via. Ma prima di salutare, si ferma perché deve “dire una cosa importante: vuoi sapere qual è il mio vero sogno? Che ci si fermi dall’uccidere le persone. Scrivilo bene questo: Non uccidete! Fermate la guerra ora”.

 

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