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“L’unica cosa che possiamo fare in questo momento è piangere con le persone che piangono, asciugare le lacrime, consolare, aiutare in tutti i modi possibili”.

 

 

Padre Sergiy Panchenko, parroco della parrocchia cattolica di Chernihiv affidata ai missionari Oblati di Maria Immacolata, a raccontare cosa è successo la mattina del 17 aprile scorso quando tre missili da crociera Iskander di Mosca hanno colpito un’area del centro della città, distruggendo un edificio di otto piani e colpendo i palazzi vicini. “Stavamo per celebrare la messa - racconta - quando abbiamo sentito un rumore fortissimo. Siamo usciti e abbiamo visto in cielo un grande fuoco (GUARDA). Il punto della città colpito dai missili non era lontano dalla parrocchia”. Sul posto, tra le macerie dell’edificio sbriciolato dal missile, sono immediatamente scattate le operazioni di ricerca e salvataggio delle persone. “C’erano tantissime persone ferite”. Il bilancio è drammatico: secondo il Servizio statale di emergenza, 18 persone sono morte e 77 sono rimaste ferite. “Tra le vittime - ricorda il prete - ci sono purtroppo anche due bambini”. Non è la prima volta che i russi colpiscono la città. Era successo anche lo scorso anno in agosto quando un missile russo provocò la morte di 6 persone. “Ma questa volta è stato diverso, i morti e i feriti sono tantissimi”.

Fin dalle prime ore successive all’attacco, la parrocchia ha aperto le porte. “Sotto la chiesa - racconta padre Sergiy - c’è un rifugio, che è utilizzato in questo periodo di guerra anche come asilo. È qui che abbiamo accolto mamme con i bambini piccoli. Avevano paura e cercavano luoghi sicuri dove poter portare i loro figli”. Anche se le operazioni di ricerca e salvataggio sono terminate, la situazione in città non si è calmata. Ci sono i feriti e soprattutto ci sono le persone che hanno perso le loro case, non solo quelli che abitavano nell’edificio colpito ma anche nei palazzi attorno che sono stati gravemente danneggiati. L’attacco alla città di Chernihiv è solo uno dei quotidiani attacchi che si susseguono ogni giorno in tutto il territorio ucraino e la gente è stanca. “Manca la speranza”, confida il sacerdote. “Sono due anni che il popolo si confronta con il dolore della guerra, ogni giorno. Alcuni sono andati via. Altri stanno decidendo di farlo. Molti guardano alla Polonia, un Paese vicino che sentiamo amico. Non ci sono solo le mamme ad aver perso figli. Ci sono nonne che stanno piangendo la morte sul fronte dei nipoti che hanno cresciuto”. “C’è una nonna nella mia parrocchia che ha perso due nipoti di 30 e 37 anni. Erano soldati. Sono morti in combattimento”.

Il prezzo della guerra è pesante anche dal punto di vista sociale. “L’Ucraina non era un paese ricco ma adesso con la guerra, la povertà è diventata ancora più diffusa e profonda. Non c’è lavoro, le donne sono sole, gli uomini sono sul fronte, la vita è inevitabilmente diventata più difficile”. Per questo la parrocchia degli oblati ha deciso di venire incontro alle nuove necessità. Ogni martedì e giovedì vengono offerti pranzi con piatti caldi. Sono 60/ 70 le persone che riempiono gli spazi della parrocchia. “Vivere in guerra – aggiunge padre Sergiy – è una esperienza dura. Tutti qui hanno un morto in famiglia. Prima si andava nei parchi a passeggiare. Ora si va nei cimiteri per piangere sulle tombe di un marito, di un figlio, un fratello, parlare con loro, cercare consolazione. Come cristiani, vorremmo dire che la vita è più forte della morte. Ma in queste condizioni è difficile. E allora non possiamo fare altro che piangere con loro, stare a fianco, dare sollievo”. Il sacerdote si rivolge agli italiani, soprattutto alla Chiesa in Italia. “Intanto vorrei dire grazie per le vostre preghiere. Possa Dio aiutare il nostro popolo. E poi vorrei invitare gli italiani a venire a trovarci”. A chi ha il coraggio di farlo, venite qui a vedere cosa sta succedendo. È l’unico modo per toccare con mano la guerra. La gente comincia a sentirsi sola. Venite qui a dirci che non vi siete dimenticati di noi”.

 

 

 

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