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Presentato a Ginevra dall’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite l’ultimo rapporto trimestrale, da giugno ad agosto, sullo stato dei prigionieri di guerra russi e ucraini.

 

 

Il Rapporto contiene interviste a 174 prigionieri di guerra ucraini negli ultimi 18 mesi e quasi tutti (169 su 174) hanno fornito resoconti dettagliati e coerenti di torture o gravi maltrattamenti. Hanno descritto gravi percosse, scosse elettriche, soffocamento, taser, posizioni di stress prolungate, privazione del sonno, morsi di cane, finte esecuzioni, privazione sensoriale, minacce, trattamenti degradanti e umiliazioni. Il 68% ha riferito di violenza sessuale. Torture o maltrattamenti si sono verificati in tutte le fasi della prigionia: durante gli interrogatori, le procedure di ammissione, le routine quotidiane e in condizioni di internamento spaventose. Questi abusi sono stati documentati in più strutture di internamento sia nei territori occupati che nella Federazione Russa, mostrando modelli simili di maltrattamenti. Anche le condizioni di detenzione erano solitamente pessime, con la maggior parte dei prigionieri di guerra che ha segnalato carenze alimentari, mancanza di cure mediche, sovraffollamento e scarse condizioni igieniche. L’ufficio di monitoraggio delle Nazioni Unite ha documentato la morte di 10 prigionieri di guerra ucraini a causa di torture, cattive condizioni o cure mediche inadeguate.

L’ufficio Onu ha monitorato anche le condizioni dei prigionieri di guerra russi verificando che oltre la metà (104 su 205) degli intervistati da marzo 2023 ha denunciato torture o maltrattamenti da parte delle autorità ucraine. In quasi tutti i casi, questi maltrattamenti sono stati compiuti durante le fasi iniziali della prigionia e si sono verificati quasi interamente in luoghi non ufficiali o di transito e in genere si sono conclusi all’arrivo in strutture di internamento ufficiali, dove - conferma l’Onu - “le condizioni generalmente soddisfano gli standard internazionali”. Inoltre, lo staff delle Nazioni Unite continua ad avere libero accesso alle strutture per prigionieri di guerra in Ucraina, il che “favorisce un dialogo aperto con le autorità e porta a miglioramenti”. Dopo aver analizzato le condizioni dei prigionieri, il capo missione delle Nazioni Unite, Danielle Bell ha concluso dicendo che “porre fine alla tortura è un imperativo legale ed etico”.

“La realtà di prigionieri militari detenuti dai russi è tra le pagine più dolorose e meno espresse di questa guerra. Un dramma che come sinonimo prende parola ‘genocidio’”. Così mons. Maksym Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, commenta i dati Onu, che puntualizzano come “le autorità russe - si legge nel rapporto - hanno sottoposto i prigionieri di guerra ucraini a torture e maltrattamenti diffusi e sistematici”. Secondo i dati, rilanciati ieri dall’Ufficio comunicazione della Chiesa greco-cattolica, sono circa 55.000 i militari e i civili ucraini considerati dispersi. Non si sa se sono morti sul fronte o sono detenuti nelle prigioni russe dove è altissima la probabilità di subire torture. “Distruggere la vita umana nelle modalità più crudeli - commenta il vescovo Ryabukha - mostra non solo l’astuzia del male, ma ancor più la miseria umana, o meglio la disumanità di tutte le persone che commettono il male. E non sono due o tre. Purtroppo gli ‘operatori delle torture’ sono tanti”.

Mons. Ryabukha è il vescovo dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk da cui provengono i due sacerdoti redentoristi Padre Ivan Levytskyi e Padre Bohdan Geleta arrestati dai russi nel novembre 2022 e liberati quest’anno a giugno, nell’ambito di uno scambio di prigionieri. “I due preti Redentoristi - dice oggi mons. Ryabukha - hanno vissuto 20 mesi di prigionia dai russi e sanno delle torture non per aver letto qualcosa, ma per esperienza personale quasi quotidiana. È un dolore che non solo fa demolire solo il corpo, ma opera alla distruzione dello spirito. Sopravvivere a tutte queste torture senza fede e senza amore è praticamente impossibile. E sono un miracolo della fede tutti questi ragazzi e ragazze che riescono a tornare a casa grazie agli scambi dei prigionieri”.

Il pensiero va a chi si trova ancora nelle prigioni ed è sottoposto a torture e condizioni disumane. “Potrebbero essere nostre sorelle e nostri fratelli, madri e padri. Solo quando ti appropri del dolore altrui, riesci a fare dei passi concreti per aiutarli”. “Ma cosa possiamo fare concretamente?”, si chiede il vescovo. “È una domanda seria ed impegnativa! Possiamo iniziare a parlare di questo volto doloroso della guerra, ancora in corso. Poi, di fronte ad un male così grande, c’è una direzione da prendere: convertire il cuore. Non esistono altre vie di aiuto effettivo”.

 

 

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