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Padre Nicola Preziuso vive al quartiere Tamburi di Taranto, quello a ridosso dell’ex Ilva, oggi in mano ad Arcelor Mittal Italia, da 40 anni.

E da altrettanti segue gli operai nel siderurgico. “Ma non sono un cappellano e ci tengo a precisarlo - spiega - perché come Giuseppini del Murialdo (che per vocazione e missione hanno formazione e lavoro, ndr) prestiamo nel siderurgico un supporto volontario, gratuito”.

Padre Preziuso con gli operai si rapporta dentro ma soprattutto fuori dalla fabbrica: “La paura oggi è quella di perdere il posto di lavoro, anche se poi si consolano pensando ‘ci daranno la cassaintegrazione per 30 anni’. Il risucchio verso l’assistenzialismo è serio. Lo dice anche il nostro arcivescovo Santoro, che così si tagliano le gambe alle speranze della gente. Quando parlo con le madri mi dicono: ‘mio figlio se ne è andato a Bologna o a Milano’. Qui non si trova lavoro e c’è rassegnazione verso la questione Ilva. Talvolta quasi una specie di freddezza, come se il problema fosse di altri, non della comunità. Sono 40 anni che sono al rione Tamburi. Qui abbiamo visto l’Italsider, con le sue contraddizioni, ma che aveva un rapporto con la città, c’era il Circolo Vaccarella, ad esempio, insomma c’erano attività culturali. C’era anche un certo assistenzialismo, ed era la faccia negativa ma con il territorio si dialogava. Poi con l’arrivo dei Riva c’è stato un taglio netto, con la città che ha sentito la fabbrica sempre più lontana. Questa situazione caotica e confusa, è la crisi di tutto il nostro Sud. Il macigno del posto fisso ci continua a tenere schiacciati e si cerca consolazione nei gratta e vinci, un denaro che arriva facile”.

Per Padre Preziuso, “bisognerebbe riflettere molto di più sui contenuti della Laudato sì. Non si tratta solo di ragionare sul mercato. E le persone? Non contano? Certo, la fabbrica guarda al profitto ma non può guardare solo a quello. Il lavoro come momento per diventare bravi cristiani ed ottimi cittadini, sembra non esistere più. Il lavoro che dona dignità, non c’è più. La politica dovrebbe curare tutti i valori in gioco, non alcuni rispetto ad altri. Invece ormai i tarantini pensano che ci si può salvare solo da soli, non si crede più nella comunità. Vorremmo riscattarci dalla povertà. Il Sud ha puntato sull’industrializzazione come momento di crescita e sviluppo invece ci troviamo di nuovo a ricominciare tutto daccapo”.

 

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