A Codogno, città focolaio del Coronavirus Covid-19 le persone vivono ormai isolate da oltre dieci giorni. Molte di loro si trovano impossibilitate a raggiungere i luoghi di lavoro e tutte le situazioni di assembramento sono state vietate.
Ci sono a anche molte famiglie che non riabbracciano i propri cari perché rimasti fuori dal focolaio. Per sapere come si vivono questi giorni nella zona rossa abbiamo raggiunto telefonicamente la famiglia Bartucca di Codogno e ha parlato con il capofamiglia, Emanuele, che con sua moglie e uno dei suoi quattro figli sta cercando di fronteggiare al meglio questa situazione di emergenza.
Signor Bartucca, come state vivendo questo momento?
“Siamo ormai in quarantena da più di dieci giorni. Dopo un periodo di forte preoccupazione è subentrata l’abitudine a vivere in isolamento, data anche dal fatto che questa non è una reclusione totale in casa, ma abbiamo libertà di muoverci nei limiti della zona rossa. La vita in ogni caso continua anche perché i servizi essenziali non mancano, quindi stiamo andando avanti in uno spirito di attesa”.
La vostra vita è cambiata anche sotto il profilo lavorativo…
“Siamo una famiglia numerosa, abbiamo quattro figli. La nostra primogenita lavora a Cremona e anche lei è ferma dal lavoro e quindi a casa, viene spesso a trovarci. La seconda figlia lavora come operatore socio sanitario in una struttura che si occupa di persone con disabilità e continua a svolgere le sue mansioni perché il suo è un servizio essenziale. La nostra terza figlia, invece, si trova fuori dalla zona rossa, perché universitaria, ed era fuori per un tirocinio. Il decreto l’ha bloccata lì e noi non la vediamo da oltre venti giorni. Mentre il nostro quarto figlio ha appena trovato lavoro in una ditta, ma impossibilitato a iniziare perché non può raggiungere l’azienda. Fortunatamente i datori di lavoro, compresa la “straordinarietà” del momento, lo stanno aspettando. Per quanto riguarda mia moglie, casalinga, la vita è più affaccendata ma non è stata modificata di molto. Io sono stato abilitato al lavoro da casa. Tuttavia, il non poter interfacciarsi con i colleghi per molto tempo risulta alienante”.
E come vivete l’impossibilità di avere una “vita sociale”?
“Tutte le situazioni di assembramento sono state vietate. Le messe sono sospese da due settimane. Però ci si organizza.
Noi facciamo parte dell’associazione Rinnovamento nello Spirito Santo e abbiamo un gruppo a Codogno che si riunisce il martedì. Per il momento stiamo ovviando a questa situazione ‘riunendoci’ in via telematica. Abbiamo condiviso canti e preghiere su WhatsApp per superare insieme questo momento difficile. Resta comunque il fatto che è pesante e non è facile non avere ‘fisicità’ e rapporti umani veri e propri con le persone”.
Avete il timore di portarvi dietro una sorta di “etichetta” in quanto abitanti della città considerata il focolaio d’Italia?
“La paura c’è. Una paura che è data da alcune sensazioni e da alcuni dati di fatto. Ci aspettiamo in futuro un po’ di discriminazione, non solo per le persone, ma anche per i prodotti del territorio. Conosco allevatori e produttori della zona che hanno difficoltà a vendere la merce. Sperò, però, che la stessa forza mediatica che è stata data nello specificare come Codogno sia il focolaio d’Italia, sarà data nel sottolineare che il pericolo è passato e nell’evidenziare come i prodotti non veicolino il Coronavirus. La vera paura è quindi quella di restare ‘marchiati’ ed è percepita da tutti i cittadini”.
Questa emergenza, nella sua drammaticità, vi lascerà qualcosa di positivo?
“Sì. In un momento così tragico e drammatico le famiglie si stanno riavvicinando e riscoprono il piacere dello stare insieme. Il fatto che ci molto “tempo libero” consente alle persone di curare i rapporti familiari che spesso sono soggetti alla routine di tutti i giorni”.