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In questi giorni è arrivato il nuovo incaricato dell’oratorio salesiano di Lecce, don Mimmo Madonna, un salesiano dal cuore missionario. Portalecce con l’intervista che segue lo presenta alla diocesi e a tutta la comunità leccese.

 


 

Don Mimmo, dove hai trascorso la tua giovinezza?

Ciao a tutti e a ciascuno, sono don Domenico Madonna, ma tutti mi chiamano don Mimmo. Sono nato in provincia di Napoli, a Portici, ma ho sempre vissuto nella città di Napoli dove ho frequentato tutte le scuole, compreso il liceo artistico, e poi la facoltà di architettura; inoltre, anche mio papà era direttore di un albergo dell’Eni che si trova a Napoli. Sono cresciuto in un oratorio che negli anni ‘90 era particolarmente impegnativo perché si erano riversate a Portici tutte le persone che dopo il terremoto del 1980 erano rimaste senza casa, quindi si è creata una “città alloggio” in cui convivevano diverse culture, e l’oratorio è così diventato particolarmente disagiato. Ho avuto a che fare con la gestione di tanti di questi ragazzi di strada. Molti non ci sono più perché sono morti a causa delle faide dei clan della camorra.

 

Com’è nata la tua vocazione salesiana?

Il Signore ha voluto che la mia vocazione maturasse nel contesto appena descritto, nonostante la mia vita fosse avviata ad altro: architettura, lavoro nelle poste italiane come ufficio tecnico (disegnatore) ed un matrimonio in vista. Al ritorno dall’esperienza in Albania nell’agosto del 1992 ho vissuto un tempo di riflessione fino poi a sentirmi scelto dal Signore. Devo ringraziarlo anche per il fatto che oggi mi ritrovo come direttore dei Salesiani di Lecce don Pasquale d’Angelo, che è stato il mio direttore spirituale di discernimento vocazionale quando ero un giovane dell’oratorio di Portici.

 

Qual è stata la tua prima esperienza missionaria da salesiano di don Bosco?

Dal 1992 è iniziato il cammino sacerdotale - fatto di studi e formazione - fino ad arrivare al 2001 quando il mio superiore, mentre ancora non ero sacerdote, mi chiese da diacono di andare a lavorare come coordinatore del centro diurno della scuola Valdocco e di tre comunità famiglia che accoglievano 120 ragazzi affidati dal tribunale dei minori e dai servizi sociali. Sono stati tre anni stupendi, passati principalmente tra Forcella, Scampia, San Carlo Arena e Corso Garibaldi. Oggi, a più di venti anni di distanza, i ragazzi mi chiamano per celebrare i battesimi dei loro figli, per chiedermi consiglio sul matrimonio o anche solo per venirmi a salutare.

 

Quali sono state le altre esperienze che hai fatto nei primi anni di vita consacrata salesiana?

Per due anni sono stato incaricato dell’emarginazione e del servizio civile.  Dopo sono diventato incaricato missionario e vocazionale dell’Ispettoria, e così mi sono recato otto volte in Madagascar, decine di volte in Albania, cinque-sei volte in Kosovo, una volta in Guatemala e poi in diverse parti d’Italia, per accompagnare i gruppi di giovani che si formavano in Ispettoria Salesiana sulle tematiche inerenti la mondialità e i diritti umani e poi completavano il percorso con la partecipazione all’esperienza estiva - più precisamente si trattava di esercizi spirituali in contesto.

 

Cosa ti hanno insegnato tutte queste esperienze missionarie?

La sobrietà, e che Dio non si dimentica di nessuno: nonostante dal nostro versante occidentale pensiamo che in alcune parti del mondo le persone stiano malissimo a causa sua, ed in realtà stanno male a causa degli uomini ma non certamente a causa di Dio. E poi da loro ho imparato che “non c’è mai problema”, questo è il motto dell’attuale vescovo di Moramanga, mons. Saro Vella, e “niente ci fa’!”, motto di don Giovanni Corselli, suo segretario (sono missionari siculi che operano in Madagascar da venti-trent’anni).

 

Successivamente quali incarichi hai ricoperto?

Dopo questi sei anni sono stato inviato a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, dove la camorra domina, dove i ragazzi sono difficili ma incantevoli…purtroppo sono rimasto soltanto un anno perché poi mi è stato chiesto di andare a Locri, e quindi ho lavorato cinque anni nella Locride, curando la comunità e la pastorale giovanile della diocesi di Locri. Ho avuto la grazia di poter lavorare con i ragazzi di San Luca, di Ratile, di Bianco, di Bovarino e di Ardone. Sono tutti paesi dove la ndrangheta è nata - poi oggi opera purtroppo anche in Canada, in Burkina Faso, in Costa d’Avorio, in Australia, in Colombia, attualmente anche in Uruguay. Lì ho imparato soprattutto la prudenza, e a non chinare il capo davanti al potere del male, infatti il motto che mi porto è: “cala iunco che passa la fiumara”, che vuol dire: “abbassati giunco (canna di bambù) e passa il fiume”. Lì è questa la mentalità, cioè che tutti debbano piegarsi, ma grazie a Dio non ci siamo piegati, ed anche le persone cominciavano a crederci- Poi il progetto si è interrotto per tanti motivi, ma tutto partiva dall’Eucarestia quotidiana al mattino e dall’osservare il territorio ed intervenire.

 

Dopo Locri dove sei stato?

Ho vissuto due anni di pastorale giovanile ispettoriale, e così ho potuto conoscere ancora di più i confratelli, i giovani e gli ambienti salesiani. Dopo due anni l’Ispettore mi ha chiesto di andare a Soverato: anche questa è stata una bella esperienza, un po’ sofferta perché nonostante fosse più semplice dal punto di vista del contesto è stata molto più difficile per la mentalità e la chiusura culturale.

 

E adesso eccoti arrivato a Lecce… qual è stato il primo impatto con questa comunità?

Sono arrivato a Lecce da pochi giorni, il primo impatto è buono, i ragazzi sono molto accoglienti, gli adulti sto imparando a conoscerli, ma sono ancora in una fase di studio e osservazione, tra un anno mi pronuncerò.

 

Cosa vorresti costruire come reti tra la comunità salesiana ed il territorio?

Come comunità  salesiana ed educativa pastorale (quindi anche laici)  stiamo cercando di riflettere per avviare un contatto ed un coinvolgimento con le scuole, pensando ad un possibile Pcto, quindi l’oratorio come offerta formativa, per avviare una collaborazione con la diocesi - soprattutto per quanto riguarda la pastorale giovanile abbiamo già iniziato almeno in fase colloquiale una piccola collaborazione con il Consultorio diocesano per quanto riguarda l’aspetto psicologico e psichiatrico - e poi sarebbe bello se riuscissimo a contattare anche i servizi sociali del comune di Lecce - per poter far sì che l’oratorio abbia un ruolo non di protagonismo ma di servizio per la città.

 

E qual è la tua vision e la tua mission all’interno dell’ambiente oratoriano?

Sicuramente l’impronta che desidererei dare come incaricato, attraverso la commissione di pastorale giovanile, all’oratorio è quella di un ambiente aperto alle povertà, quindi anche alla costruzione di una rete con associazioni socio-culturali presenti sul territorio che lavorano con migranti.

 

Hai già cominciato a promuovere nuove iniziative?

Sì, in oratorio stiamo organizzando una “Champions League per la povertà”: un campionato di Champions con le magliette originali, comprate a poco prezzo perché difettate, però per la povertà, e cioè ci sarà una classifica punti ed una classifica fair play, e quest’ultima fa’ aumentare un montepremi a favore delle persone indigenti. Più la squadra si comporta bene, meno ammonizioni prende, più aumenta il montepremi che può destinare ad un Paese impoverito, che sceglierà la squadra vincente. Inoltre, stiamo proseguendo tutto ciò che si è fatto in passato (sport educativo, gruppi formativi per tutte le fasce dei ragazzi e dei giovani), e la cura e la progettualità del Centro giovanile. Stiamo continuando ad “accompagnare” perché l’itinerario formativo e di maturazione dei ragazzi non venga meno.

 

 

Forum Famiglie Puglia