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“Non t’importa che siamo perduti?”. “Quanta disperazione in queste parole. È la solitudine, la mancanza di una parola buona, di vicinanza, la sensazione dell’assenza anche di Dio al proprio fianco”.

 

 

 

 

Lo ha detto, ieri sera, mons. Giorgio Ferretti, arcivescovo metropolita di Foggia-Bovino, l’altra sera, durante la preghiera “Morire di speranza”, a Borgo Mezzanone. “1.745 persone, nel 2024, hanno perso la vita nel Mediterraneo e lungo le vie di terra, cercando di raggiungere l’Europa alla ricerca di un futuro migliore. In tutto il mondo le stime indicano in almeno 8.565 persone, quelle morte nei viaggi della speranza nel 2023. È il dato più alto in assoluto dal 2016. Sono 1.886 quanti hanno perso la vita nel deserto del Sahara, quelli che si sanno, e sulla rotta marittima verso le Canarie. Scappavano dall’inferno e la vita è diventata un inferno. Essi non sono una statistica. Erano uomini, donne, avevano un nome, una storia, una famiglia che piange la loro morte”, ha sottolineato il presule, evidenziando che “il tentativo di raggiungere l’Europa è il legittimo desiderio di una vita migliore. Perché questo desiderio umano diviene tragedia? Non è facile trovare una spiegazione logica, se non la si ricerca purtroppo nel male che gli uomini sanno fare ai loro fratelli”.
Per l’arcivescovo, “morire di speranza è drammatico, ingiusto, inumano. Davvero gli uomini sanno fare molto male. Le mafie, il caporalato, gli scafisti; dietro a queste definizioni ci sono uomini devoti al male e al denaro, in nome del quale tutto è possibile”.

E poi “ci siamo noi: dove eravamo? Distratti, impauriti, presi dai piccoli drammi di un mondo ricco. Ma la Parola di Dio ci sveglia. Ci richiama al fatto che siamo parte della stessa umanità. Ci ispira scelte buone e coraggiose. Da questi drammi sono nati i corridoi umanitari: una via legale per salvare chi vulnerabile sarebbe finito nelle mani dei trafficanti di essere umani. Dal pianto per questi nostri fratelli in umanità sono nate scelte di salvezza”.

Mons. Ferretti ha osservato: “La Chiesa come una madre ci raduna per fare memoria. Memoria è dire: ‘a me importa’; ‘I care’; ‘a noi importa!’. Questa sera siamo convenuti qui per piangere e pregare per uomini e donne gettati come scarto. La Chiesa non dimentica, fa memoria e piange per i figli dell’umanità che non sono più. La Chiesa, proprio perché è madre, ha diritto di piangere e ammonire. La Chiesa è una madre che accoglie, e per questo è libera di dire che l’inaccoglienza è connivenza col male”.

“Non t’importa che siamo perduti?”. “Noi - ha concluso l’arcivescovo - vogliamo rispondere a quella domanda. Come il maestro Gesù, anche noi importa e molto. Ci importa degli immigrati, degli sfruttati, dei profughi, dei deboli. Ci importa delle tante vittime di una società ingiusta: per questo siamo qui! Ringrazio le istituzioni presenti; coloro che combattono la criminalità organizzata e il caporalato; coloro che organizzano corridoi umanitari e coloro che accolgono i profughi, i bambini. A noi tutti importa e molto che nessuno vada perduto. Le nostre Caritas e la Comunità di Sant’Egidio, qui presenti, sono la punta più bella di un movimento di vita, di fraternità. I tanti uomini e donne di buona volontà che accolgono, sono una parte bella della nostra Europa”.

 

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