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Un titolo chiaro e diretto “Capiamoci! Per una convivialità delle differenze”, quello dell’incontro che si è tenuto ieri 11 febbraio presso la Comunità missionaria dei Comboniani con sede a Cavallino.

Un tema di attualità,  trattato in un clima di dialogo e confronto, che invita ad affrontare con coraggio  la sfida dell’immigrazione, spesso presentata e vissuta come problema. Certamente ci sono tante criticità o problematicità che possono essere risolte costruendo ponti e non barriere che non portano all’incontro tra culture, religioni e costumi diversi. Al   primo contatto possono generare diffidenza e sensazione di minaccia della propria identità: ne consegue che l’incontro rischia di mutarsi in uno scontro continuo, come dalle cronache diffuse dai media.

Interessante l’intervento di don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, che ha esortato a predisporsi alla conoscenza ed alla comprensione, abbandonando luoghi comuni e pregiudizi che generano la cultura del sospetto e, di conseguenza, dello scarto.

Da parroco a direttore, don Gianni si è definito non un esperto, né un oratore ma, da un anno e mezzo, un migrante in tutta Europa, per accompagnare gli italiani, in particolare giovani, che continuano ad abbandonare il nostro paese. Un’emergenza molto forte nel nostro Salento.

I dati presentati dalla Fondazione Migrantes nel Rapporto italiani nel mondo del 2018 e riferiti da don Gianni sono allarmanti: “storie di speranza, di successi e anche di dolore. Sono le storie degli italiani all’estero, più di 5 milioni a gennaio 2018 secondo i dati dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Quasi 130mila hanno lasciato l’Italia nel 2017 e tra questi le fasce di età che sono maggiormente aumentate di numero sono quelle degli over 50: molti sono migranti-nonni che si ricongiungono a figli e nipoti. Tra questi, però, non mancano situazioni di disagio, come quelle degli illegali in Australia o di chi vive per strada a Londra”. E non solo. La Fondazione Migrantes non ha confini, in quanto la Chiesa italiana sente la forte responsabilità della cura dei rifugiati, rom, circensi, di tutti gli uomini in mobilità, che non hanno una parrocchia residenziale che li possa accogliere ed assistere.

Una conclusione significativa e profonda: gli ultimi pontefici, da Giovanni Paolo II a Papa Francesco, hanno presentato l’immigrazione non solo come un fenomeno sociale, ma come un segno dei tempi, un luogo teologico dove Dio sta operando.  Basta leggere le pagine della Bibbia per rendersi conto che i popoli da sempre sono in cammino ‘verso la terra promessa’. Un fenomeno che non ha bisogno di tifoserie di parte, ma di dibattiti seri che educhino ad una cultura della carità e della responsabile accoglienza, nel rispetto della dignità di ogni uomo.

 

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