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“Va’ sicura, in pace, anima mia benedetta,perché hai buona scorta nel tuo viaggio!Infatti Colui che ti ha creata, ti ha resa santa e,sempre guardandoti come una madre il suo figlio piccolino, ti ha amata con tenero amore.E tu, Signore, sii benedetto perché mi hai creata”.

 

Sono le parole che Santa Chiara d’Assisi pronuncia la sera del 10 agosto 1253, ‘nella festa del beato Lorenzo’ quando vive il suo beato transito dalla terra al cielo. E da quel giorno - specialmente dopo la canonizzazione della santa - si celebra la solennità della madre santa Chiara. A Lecce le due celebrazioni - il transito del 10 e la solenne eucaristica nel giorno della festa della santa cioè l’11 - sono state vissute nel monastero ‘Santi Francesco e Chiara’ delle Sorelle Povere di Santa Chiara.

La preghiera dei solenni primi vespri nel Transito della santa è stata presieduta dal Guardiano del convento leccese di ‘Sant’Antonio a Fulgenzio’, Padre Agostino Buccoliero.

Egli, nella sua meditazione proposta ai presenti, ha anzitutto chiarito che la celebrazione del Transito di Chiara non è la commemorazione mesta della fine di un’esistenza vissuta con morigeratezza, nascondimento, precarietà ma al contrario tale veglia è piuttosto il rendere presente “il testamento di una donna amata da Dio e amante di tutti che indica la via”. Il segreto della vita di Chiara, ha affermato il guardiano, è da rintracciarsi nei tre verbi che ella usa al momento della morte per scrutare sé stessa e la sua vita santa come mistero di amore: creata, santificata, e amata. “Sono tre verbi mediante i quali la santa abbadessa di San Damiano legge la sua intera esperienza”. La vita di Chiara è sempre stata un viaggio verso una meta certa che è Dio stesso. Infatti il suo dire alla sua anima: “Va’ sicura in pace” indica la consapevolezza di essere incamminata verso di Lui perché tutta la sua vita è stata un pellegrinaggio verso il suo Signore nonostante le nubi che si sono addensate sul suo cammino. Un amore di Padre, come quello di una madre terrena, che lei ha avvertito sin dall’inizio della sua esistenza terrena, fin dalla sua creazione. É grazie a quest’amore provvidente di Dio che “Chiara ha creduto in tutto ciò che ha vissuto”. “Il tutto vissuto nell’alveo della povertà, di Madonna Povertà, di santa povertà”. Solo così Chiara ha potuto benedire Dio con la sua vita perché la sua povertà le ha consentito di “superare la tentazione di onnipotenza”. Una vita eucaristica e dunque grata e risolta perché vissuta nella povertà che altro non è se non la potatura evangelica. Così la santa ha risposto alla chiamata del Padre, lasciandosi potare da Lui per “gettare via il vecchio e far nascere il nuovo”. Una novità, quella di Cristo e del suo vangelo, che riguarda gli uomini e le donne di ogni tempo se rimangono innestati in Lui come i tralci alla vite facendo dono con sicurezza di ciò che è stato loro donato sin dall’inizio della loro esistenza, così come ha fatto la santa d’Assisi.

A fare eco alle parole di Padre Agostino, le riflessioni offerte nell’omelia dell’eucaristia celebrata nella solennità di Santa Chiara presieduta da Padre Paolo Quaranta, Ministro provinciale dei Frati minori del Salento. Le parole del Vangelo di Luca, proclamato nella celebrazione eucaristica, sono rappresentative della vita della santa: “Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina. Là dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. “La vita terrena è solo un tratto di strada che porta verso orizzonti più ampi, luminosi e colorati e cioè quelli dell’eternità”. Santa Chiara ha incarnato nella sua vita umana e cristiana proprio questa Parola: “Cos’è d’altronde il privilegium paupertatis, il privilegio di vivere in povertà, richiesto dalla santa al pontefice dell’epoca se non il tentativo di dire al mondo che non è l’accumulo il parametro di misura della qualità del proprio essere e del proprio operare. In realtà, è il dono di sé che dà qualità e sostanza alla propria esistenza”. Per donare compiutamente occorre dunque vivere nella povertà. Per vivere nella povertà occorre ritrovare e rivivere il “gusto di appartenere a Qualcuno”, quel Qualcuno che come dice Santa Chiara “nasce povero e nudo, e muore povero e nudo”. La povertà di cuore di Chiara è secondo il provinciale dunque la povertà che tutti i cristiani devono vivere perché essa è “uno spazio vuoto, uno spazio accogliente dove l’altro può trovare dimora”. La parola che oggi dice Santa Chiara al mondo è coraggiosa, fidente, evangelica. Questo è l’augurio: che la povertà clariana possa divenire azione sovversiva per la vita di molti e far nascere frutti di santità e di pace.

 

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