“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,14-16).
È questa la parola evangelica che si è incarnata ancora una volta nella vita ed esperienza di martirio e santità del card. Ernest Simoni, soprattutto da quando nel 2016 Papa Francesco ha deciso elevarlo al porporato. Don Ernest, come ancora si suole chiamarlo, in questi giorni in visita nell’arcidiocesi di Lecce ha presieduto ieri mattina l’eucaristia domenicale (ha concelebrato con lui fra Antonio Giaracuni, nuovo guardiano del convento leccese dei Frati minori di Sant'Antonio a Fulgenzio) presso il monastero delle Clarisse del capoluogo salentino dove ha offerto ai presenti anche la sua testimonianza e ha consentito di vivere a tutti una vera “giornata albanese”.
Testimonianza - ascoltata con grande commozione - di un uomo, un sacerdote albanese originario di Troshan, che la vigilia di Natale del 1963 fu arrestato su ordine del regime comunista proprio a causa del suo essere sacerdote e condannato a morte, all’impiccagione. Nei terribili giorni di prigionia, su ordine del regime del dittatore Enver Hoxha, gli fu messo affianco un giovane con il preciso obiettivo di indurlo a criticare il comunismo albanese ma dalla bocca di don Ernest uscirono solo evangeliche parole di perdono per i nemici.
Appreso ciò, la condanna a morte fu trasformata da parte del dittatore in trent’anni di lavori forzati non solo nelle fogne di Scutari, ma prima ancora anche nelle miniere dove il cardinale insieme agli altri compagni di prigionia soffriva tra l’altro un’escursione termica di +30°C sotto terra e -30°C in superficie. Durante questi duri anni il cardinale non smise mai di trarre forza dall’eucaristia: ogni giorno infatti egli non mancò mai di celebrare a memoria in lingua latina con dei chicchi di uva, ch’egli spremeva per trarre la materia del vino, portati in cella dalla moglie di un docente musulmano che era in prigione con lui, e con delle briciole di pane. Chicchi d’uva e briciole di pane che sulle mani del cardinale - diventate nuovo e singolare altare ed anche calice e patena - diventavano così ogni giorno il corpo e il sangue di Cristo in un contesto in cui anche solo un segno di croce poteva costare dieci anni di prigionia.
Protagonisti forse non pienamente consapevoli di questo mistero d’amore furono i suoi compagni di prigione musulmani che al vederlo celebrare, come racconta ancora oggi don Ernest, piangevano con grosse lacrime. Fu liberato negli anni ’90 e da allora non ha mai smesso di testimoniare Cristo con la parola ma soprattutto con la sua stessa vita di martire vivente. Un martirio, quello di don Ernest, che soprattutto per volontà di Papa Francesco si è fatto annuncio e che durante la celebrazione eucaristica al monastero clariano leccese ha toccato il suo vertice quando nell’omelia lo stesso porporato ha affermato:
“Attraversare l’evangelica porta stretta significa osservare la Parola del Signore, fare la Sua volontà e soltanto così poter entrare nel Regno dei cieli. Sostenuti da Lui che è luce ed amore infinito. Senza di Lui non si può far nulla, senza di Lui è sempre buio. Il Vangelo di oggi ci dice il desiderio di Dio che tutti siano salvi e prendano parte con Lui al banchetto delle nozze eterne. Due sono le condizioni che permettono di vivere eternamente in Cristo: la grazia di Dio e la volontà umana che deve esprimersi nelle opere buone in modo tale da poter realizzare il desiderio di salvezza che il Signore ha per ciascuno”.
Un desiderio di salvezza che è proprio dello stesso cardinale e che emerge forte anche dalle sue parole e dal suo esempio. L’ascolto della Parola che “rende profumata la vita dell’uomo” - ha affermato ancora il card. Simoni - deve portare frutti di vita eterna e come conseguenza di quest’annuncio ogni persona deve decidersi “se essere con Cristo o contro di Lui perché come afferma lo stesso Salvatore: ‘chi non è con me è contro di me’”. Il cardinale Ernest Simoni, vivendo da vero martire e da strenuo lottatore contro Satana, ha fatto la sua scelta: essere con Cristo fino all’effusione del sangue. In lui la comunità claustrale clariana leccese e i fedeli tutti che hanno partecipato all’eucaristia ed ascoltato la testimonianza di quest’eroe e martire della fede hanno potuto vedere realizzata la parola di Gesù consegnata ai suoi nell’Ultima Cena: “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!”(Gv 16,33) e di sicuro don Ernest può già pregustare la realizzazione della promessa evangelica, quella delle beatitudini che lui ha letteralmente vissuto ed incarnato nella sua lunga e dura vita: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.” (Mt 5,11-12).