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La festa di San Francesco d’Assisi è stata vissuta anche presso il monastero delle Clarisse di Lecce. Due momenti distinti hanno caratterizzato la ricorrenza: la memoria del beato transito e il giorno della festa liturgica.

 

“Prima che io incominci a parlare, un gemito mi sale dal cuore, e ben a ragione. Il mio ruggito è come d'acque dilaganti, perché ciò che temevo mi è accaduto, a me ed a voi; e quello che mi spaventava si è abbattuto, su di me e su di voi: Colui, che era la nostra consolazione, se ne è andato lontano; colui che ci portava tra le sue braccia come agnelli, si è recato in una regione lontana. Lui, che ha insegnato la via della vita e dell'obbedienza a Giacobbe, e ha consegnato un testamento di pace per Israele, poiché era amato da Dio e dagli uomini, è stato introdotto nelle dimore luminosissime del cielo. Il padre e fratello nostro Francesco è tornato al Signore, nella prima ora della notte che precede il 4 ottobre, di domenica. O voi, dunque, fratelli carissimi, ai quali perverrà questa lettera, a imitazione del popolo di Israele nel suo pianto su Mosé ed Aronne, suoi incliti condottieri, lasciamo libero sfogo alle lacrime, poiché siamo stati privati del conforto di così grande padre” (FF 306,2; 312,8).

Sono queste le parole che Frate Elia scrisse nella Lettera Circolare a tutto l’Ordine Francescano all’indomani del beato transito di San Francesco. Sentimenti veri ed umani sono espressi in queste parole. Tristezza e gioia pervasero i compagni di Francesco quand’egli andò incontro al Signore perché lui fu, come dice Frate Elia, consolazione, conforto e grande padre.

Se all’epoca ci fu sconcerto e smarrimento, ciò che invece è stato vissuto nei giorni 3 e 4 ottobre scorsi presso il monastero delle Clarisse di Lecce è stato indice di una consapevolezza nuova: si è celebrata la pasqua del Poverello di Assisi e non la sua morte. La celebrazione del transito alla vigilia della festa è stata presieduta dal Guardiano della fraternità dei Frati minori di Lecce di ‘Sant’Antonio a Fulgenzio’, Padre Antonio Giaracuni ofm.

Egli, dopo la lettura del racconto del transito di Francesco, ha presentato l’Assisiate come l’uomo della Parola, come colui che ha vissuto la Parola: “La sua morte così come tutta la sua vita è espressione del suo sì obbedienziale alla Parola del Signore”. D’altronde, egli stesso nella Porziuncola, dopo aver ascoltato il Vangelo della sequela del Signore, ha esclamato: “Questo voglio, questo desidero, questo bramo di fare con tutto il cuore!”. La sua santità è allora originata dall’ascolto fedele e amoroso del Signore povero e crocifisso. La sua vita, modellata sulla vita di Gesù Cristo, è stata un autentico Vangelo vivente. “Ma - ha affermato ancora il guardiano - il transito di San Francesco non ci dice che la santità, la morte hanno soppresso la sua umanità ma al contrario proprio nella morte essa è stata esaltata. Che cos’è stato il gesto di Sora Jacopa di portare i mostaccioli al Santo che li desiderava ricevere da lei se non la risposta a quel profondo e recondito bisogno di affetto umano, di amicizia che abitava nel cuore di un uomo crocifisso e morente? Muore il santo Francesco, ma muore anche l’uomo Francesco, maestro di umanità”.

L’ascolto obbedienziale del Signore povero e crocifisso ha condotto poi l’assemblea a celebrare finalmente la sua festa il giorno successivo nella solenne celebrazione eucaristica vespertina, presieduta sempre da Padre Antonio il quale nell’omelia ha affermato: “Quando si parla di Francesco d’Assisi occorre fare attenzione a non incorrere in un errore: quello di parlare solo di lui e di non imitare il suo cammino di discepolo alla scuola del Signore Gesù. Il primo elemento della sua vita che potrebbe diventare parte della nostra è l’amore verso la Chiesa che egli intese ricostruire, non tanto improvvisandosi muratore, ma convertendosi e diventando così un uomo nuovo. Uomo nuovo perché innamorato di Cristo, ardente di amore per lui; ‘tutto serafico in ardore’ dicono le Fonti. Egli, infatti, è denominato Padre Serafico perché come i serafini era appunto infiammato dell’amore per Cristo. Egli, però non amava solo il Signore ma, estasiato dalla bellezza del creato, ne cantava lo splendore per esaltare unicamente il Creatore di tutte le cose”.

Amore per Dio e amore per il Creato ma anche amore per l’uomo, per ogni uomo, anche per il nemico col quale intendeva dialogare: “Francesco è conosciuto pure come fratello universale, come uomo del dialogo. Testimone ne è l’incontro senza armi che egli fece con il Sultano Al-Malik al-Kāmil che intendeva convertire al Vangelo. Un’impresa umanamente impossibile, pericolosa - nel periodo delle Crociate - che poteva minare la vita dello stesso Francesco. L’esito dell’incontro è invece positivo: egli non verrà ucciso ma sarà addirittura accolto come vero ospite e sarà onorato con l’offerta di alcuni doni da parte del Sultano”. Quest’operazione di pace compiuta dal Santo è l’azione di colui che vive la pace anzitutto nel suo cuore: “Francesco, uomo riconciliato. Non si può pretendere di offrire la pace agli altri, di invitare gli altri a fare pace se prima non si è riconciliati con se stessi, con il mondo e con Dio. Solo così, come Francesco, si sarà veri figli di Dio”. I cuori di ognuno dei presenti alla celebrazione eucaristica sono stati invitati infine a porsi alla sequela del Vangelo per essere, sull’esempio di San Francesco, “poveri e umili, fratelli e sorelle di tutti, uomini e donne rinnovati dal Vangelo”.

 

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