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Coltivare la biodiversità. É stato questo il tema su cui le confessioni cristiane ed il popolo di Dio insistente nel territorio della Chiesa di Lecce hanno riflettuto l’altra sera presso il monastero cittadino delle sorelle clarisse “Santi Francesco e Chiara”.

Un incontro organizzato dall’Ufficio della Pastorale sociale e del lavoro e dall’Ufficio per l’ecumenismo, in occasione della conclusione del Tempo del Creato voluto da Papa Francesco, che ha visto la partecipazione e l’offerta di contributi utili alla riflessione di diversi rappresentanti di alcune confessioni cristiane presenti nell’arcidiocesi di Lecce.

“Propongo questo ritorno allo stupore originario divino, allo stupore francescano, come base della riflessione su questi temi, per considerare la realtà del creato e della sua biodiversità come l’emergenza e come quella svolta tra scegliere di vivere o di morire, quale la nostra generazione l’ha fatto diventare”.

Con queste parole suor Celeste Eremita, responsabile del monastero ospitante l’incontro, ha introdotto il tema declinandolo secondo lo specifico della spiritualità francescana e clariana. È lo stupore, infatti, il sentimento generato nella persona umana che contempla la varietà di elementi naturali e che compongono il Creato. Soltanto esso può generare la cura e il rispetto per ogni creatura animata ed inanimata.

Tale stupore è però a volte offuscato a causa del peccato già presente nell’uomo e che, ha affermato ancora suor Celeste, “si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra”.

La chiave per un possibile tentativo di risoluzione del problema sta nella riconciliazione con se stessi e col mondo. D’altronde il Cantico di Frate Sole è testimonianza dell’avvenuta riconciliazione del cuore di Francesco con Dio e le sue creature. “‘Laudato sì mi Signore per quelli che perdonano per lo tuo amore’.

Troviamo le intuizioni di Chiara - per la quale persone e natura sono creature di Dio con pari dignità - e di Francesco estremamente attuali: il discorso di cura del creato oggi è un discorso di relazione, riconciliazione. Riconciliazione tra le persone, perché ci sia riconciliazione anche con il creato”.

Lo sguardo contemplativo clariano ha trovato un felice connubio con le parole di Gianni Cantele, presidente della Coldiretti di Lecce che - con un sguardo di tecnico ed esperto del settore agronomico - ha affermato: “Per molto tempo abbiamo corso il rischio di perdere alcune varietà di piante e colture, come il grano. Oggi il termine ‘biodiversità’ è dunque determinante per cercare di ottenere sia una maggiore sostenibilità dell’attività agricola ma anche quel valore delle produzioni che spesso è mancato e non viene ancora considerato. L’impegno di Coldiretti sta anche in questo: far comprendere al consumatore il valore delle produzioni e così evitare sprechi delle risorse agroalimentari. Di esse ancora oggi viene infatti gettato il 30%. L’impegno degli agricoltori e di tutti noi deve essere importante e sempre più incisivo onde evitare il collasso totale di un sistema che è già in condizioni precarie, in grande difficoltà. Se si vorrà ancora che il prodotto agroalimentare italiano venga esportato all’estero occorrerà una decisa inversione di tendenza. La crisi, molto più ampia e complessa e dunque difficile da chiarificare in questa sede, coinvolge in tal senso l’esercizio del proprio dovere nel perseguimento del bene comune”.

Gioacchino Caruso, pastore della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, ha poi offerto una riflessione sulla custodia del creato secondo la propria sensibilità religiosa ed ha affermato: “Il fatto che la nostra Chiesa cristiana avventista del settimo giorno ponga l’attenzione in modo tutto particolare sul fatto che Cristo ritornerà un giorno e ci donerà cieli nuovi e terra nuova non deresponsabilizza la persona umana nel custodire ogni essere vivente, tutta la Creazione. Al contrario, la qualità della propria vita terrena, la fedeltà alla ‘terra’ dice la qualità di attesa di Lui ed il valore che coloro che Lo attendono Gli conferiscono. Importante è dunque diventare consapevoli che il futuro su questa terra dipende dall’uomo che la abita. Occorre allora convergere verso il principio mai anacronistico di responsabilità per andare incontro nel migliore dei modi a Colui che comunque, conscio dei danni che il genere umano può produrre, tergerà ogni lacrima dagli occhi donando così a tutti novità di vita”.

Non poteva poi mancare la voce della Chiesa ortodossa espressa tramite la riflessione di Isabelle Oztasciyan Bernerdini che si è fatta eco fedele del Patriarca ecumenico Bartolomeo, da sempre sensibile alla questione ecologica. Egli, nel suo messaggio per la salvaguardia del Creato così sintetizza l’azione di custodia della creazione: “la stessa vita della Chiesa è un’ecologia vissuta, un rispetto reale e una cura per la creazione e fonte delle sue attività ecologiche. In sostanza, l’interesse della Chiesa per la salvaguardia del creato è un’estensione della divina eucarestia in tutte le dimensioni della sua relazione col mondo”. Custodire il creato è allora un atto eminentemente sacerdotale.

Un ultimo e prezioso invito e sprone è giunto dall’arcivescovo di Lecce mons. Michele Seccia il quale ha invitato a promuovere iniziative concrete in tutti gli ambienti educativi - scuole, famiglie, comunità parrocchiali - in modo tale che tali tavole rotonde non restino solo occasione di ascolto di roboanti discorsi ma siano punto di partenza di impegno umano concreto perché la cura del creato è cura dell’uomo.

 

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