Di questi tempi non è facile parlare di Africa. La paura e l’intolleranza alimentate da slogan vuoti e populisti spesso prevalgono sul naturale istinto di accoglienza e di vicinanza verso il prossimo tipico dell’essere umano.
Tra le onde di questo mare burrascoso, si inserisce l’ambizioso progetto di Alessandro Valenti al suo debutto come regista del film “Oltre il confine”, del quale è anche sceneggiatore.
Rientrato da pochi giorni dalla “sua” Africa per le ultime riprese, Alessandro ci racconta l’esperienza vissuta in quei luoghi.
Abbiamo scelto di intraprendere un viaggio esplorativo per trovare le migliori location per il girato in Africa. Insieme con Angelo Laudisa, coproduttore del film, abbiamo deciso di uscire fuori dalla realtà di Dakar, seppur emblema delle contraddizioni sociali ed economiche dell’Africa, per spingerci in luoghi più estremi, più veri e, soprattutto, più vicini a quello che volevamo raccontare nel nostro film.
Quali sono le location che avete scelto per le riprese?
Nel nostro viaggio nei luoghi dell’Africa Sudsahariana abbiamo scelto di fermarci nel villaggio di Sinthiou Mbabane Seren, popolato da appena 650 persone, molte dei quali bambini piccolissimi. Non avevano elettricità e la notte vivevamo in balia della natura, illuminati solo dalla luce delle stelle. Abbiamo poi girato delle scene lungo le rive del fiume Simal, nel villaggio Ndangané e in una maestosa foresta di Baobab.
Come siete stati accolti dalle popolazioni locali?
È stata un’esperienza incredibile. Per una scelta di produzione abbiamo deciso di formare e assumere direttamente li lo staff necessario per ultimare le riprese. Grazie al contributo dei nostri finanziatori tra cui ricordiamo anche la Fondazione Casa della Carità di Lecce, Banca Sella e la Fondazione Emanuel, abbiamo assunto più di 35 persone con regolare contratto di lavoro. Inoltre, le nostre piccole star (Mama Fatou Ndaye e Fallou Ndaye) si sono da subito messe a disposizione per aiutarci nella mediazione con i locali. Si sono divertiti tantissimo a fare da interpreti, si sentivano molto importanti e hanno aiutato la troupe ad ambientarsi e a collaborare con lo staff africano. Alla fine delle riprese si è creata una meravigliosa sinergia tra tutti gli operatori del film: la troupe è diventata una vera e propria famiglia multietnica dove l’unica cosa importante era lo stare insieme e portare a termine la nostra meravigliosa avventura.
Oltre ad essere la tua prima esperienza alla regia di un film, si tratta anche della tua prima da produttore. Quali sono state le tue impressioni in questa nuova veste?
Per me aver prodotto un film del genere ha rappresentato quasi un atto eroico. La nostra casa di produzione, la Scirocco Films, è appena nata ed è ancora molto piccola nelle sue possibilità. Allo stesso tempo, però, siamo riusciti a movimentare professionalità sia in Puglia che in Africa, facendo lavorare centinaia di persone, risvegliando un’industria cinematografica che può davvero rappresentare un punto di snodo importante per lo sviluppo del nostro territorio e, perché no, anche di quello africano. I risultati ottenuti sono motivo di grande orgoglio per tutti noi e ci fanno capire che il cambiamento, seppur con piccoli gesti, può arrivare aiutandosi a vicenda ed investendo nel modo giusto per riscoprire le vere potenzialità di un territorio.
Cos’hai portato in valigia di ritorno dall’Africa e cosa vorresti che lo spettatore ritrovasse nel tuo film?
Non era la mia prima volta in Africa e di certo non sarà l’ultima. Abbiamo deciso che la prima del nostro film sarà proprio a Dakar. Ogni volta che sono lì per me è inevitabile posare lo sguardo delle migliaia di bambini che vivono abbandonati a loro stessi: malnutriti, malati, senza una casa e un futuro. Quando incroci lo sguardo con uno di loro quasi d’istinto lui o lei ti porge la mano ed è chiaro come il sole che si tratta di una richiesta di aiuto. Tutte le riflessioni, le polemiche, gli scontri crollano davanti a quello sguardo perché in quegli occhi non vedi altro che il tuo riflesso e la sua giovane e fragile vita, tutto il resto non conta più. Vorrei che il mio film trasmettesse la potenza che può avere uno sguardo: noi italiani siamo abituati a vivere in una fortezza chiusa al mondo esterno, ma, se per una volta si riuscisse guardare oltre il confine e a capire il punto di vista di chi vive in un mondo disperato probabilmente tutti insieme riusciremo costruire un mondo migliore.
Il film è una produzione Scirocco Films e Rosebund Entertainement Pictures con Rai Cinema, in coproduzione con Arte Cofinova, prodotto da Angelo Laudisa e Alessandro Valenti, con il supporto di Apulia Film Commission, il patrocinio di Save the Children Italia, in associazione con la Fondazione Casa della Carità, Fondazione Emanuel e Banca Sella.