Quella che stiamo attraversando è un’epoca di grandi trasformazioni che, nel segno della globalizzazione, sta condizionando le abitudini, il modo di vivere, le dinamiche relazionali di ciascuno di noi.
Qualche giorno fa sono stato presentato quale esperto ad un incontro di operatori della comunicazione a motivo del mio diploma di perito in Telecomunicazioni. Quasi non me ne ricordavo. Subito la mente è andata a quegli anni in cui il professore di radiotecnica come esercitazione annuale ci faceva “costruire” una radio, lasciando a noi la scelta se realizzare il modello a “valvole” o quello a “transistor” che si era ormai affermato sul mercato.
Verrebbe da dire: “Quanta acqua è passata sotto i ponti”. Chi è nato nel terzo millennio della cristianità non ha potuto assaporare il gusto e il fascino di un apparecchio che una volta “girata” la manopola di accensione richiedeva più di qualche secondo di pazienza prima che si illuminasse e si potessero riconoscere i suoni della stazione radio su cui si era sintonizzati. La radio a valvole era un oggetto statico facilmente riconoscibile spesso collocato al centro di una stanza dove la famiglia si fermava ad ascoltare il radiogiornale.
Oggi l’apparecchio simbolo della contemporaneità è lo smartphone, un oggetto che portiamo sempre con noi, personale, che per “accendersi” in modo efficace ha bisogno della connettività.
Per questo siamo ormai così condizionati dalla ricerca del “campo” che quando ci troviamo in una zona “non coperta” ci sentiamo persi. Non possiamo negarlo, lo smartphone ci “rapisce”. Paradossalmente sembra che la qualità della nostra vita dipenda dalla qualità del “segnale”.
Eppure ci sono alcune persone che ci testimoniano che esiste una connessione che permette a chiunque di trovare il “campo”, che dà soddisfazione alla ricerca più importante racchiusa nel cuore di ogni persona (Christus vivit n. 158).
Sono i santi, quelli che hanno incontrato Gesù lungo il cammino, l’hanno riconosciuto come Figlio di Dio e si sono fidati di Lui, della Sua parola. I santi “nascono” con la Pasqua, duemila anni fa, e stanno lì a ricordarci che il Figlio di Dio attraverso la Sua morte e risurrezione ha dato ad ogni essere umano la possibilità di attivare la connessione più potente, capace di trasformarci in figli di Dio, figli con il Figlio. È stato Lui che è venuto a cercarci e continua a farlo, donandoci la sua grazia e ricordandoci che siamo fatti per la santità.
Non è difficile riconoscere i segni della santità. Il santo è continuamente “acceso” dall’amore di Dio e questo gli permette di avere uno sguardo “altro” su se stesso, sulle persone e sulle cose. Non fa di se stesso il centro del mondo, ma è capace di guardarsi intorno scoprendo che può farsi “prossimo” ad ogni essere umano: non fa selezioni, ama tutti perché l’amore è da Dio.
Il santo considera l’altro migliore di sé; non è invidioso, non vive la sua vita con uno spirito di concorrenza ma è capace di concorrere al bene comune: è capace di “perdere tempo” per mettersi in ascolto di Dio e lo stesso fa con le persone. Perde tempo perché in mezzo al “rumore” del mondo è capace di ascoltare. Il santo non insulta chi la pensa diversamente, ma riconosce in ogni uomo o donna i semi di bene; non aspetta che sia l’altro a prendere l’iniziativa, ama per primo.
Il santo più si avvicina a Dio più scopre di essere peccatore, e più fa questa scoperta più diventa capace di affidarsi a Dio e alla sua Parola. Non guarda alla propria convenienza, è capace di gratuità. (Mt 10,8). Il giudizio del santo è orientato dalla carità, è capace di dire “sì, sì” e “no, no” perché in Cristo scopre che c’è una via di bene che vale la pena di essere percorsa (Mt 5,37). Il santo è capace di soffrire con chi soffre e di gioire con chi gioisce; è promotore di comunione e rigetta la divisione fra le persone.
E potremmo continuare a lungo nell’elenco, consapevoli che questi segni non sono tanto qualità che il santo possiede in natura ma che gli sono donati nella misura in cui si affida al Signore.
In questo elenco dovremmo almeno un poco riconoscerci, perché sappiamo bene che la chiamata alla santità è per tutti, nessuno escluso, ce lo conferma Papa Francesco nell’esortazione Gaudete et Exsultate: la chiamata alla santità che il Signore fa a ciascuno di noi, quella chiamata che rivolge anche a te: “Siate santi, perché io sono santo” (n. 10). … La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy, nella vita “non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi”… (n. 34)
La Pasqua ci ha connessi oggi e per sempre con la sorgente della vita: ci dona di vivere la santità nell’oggi, consapevoli che non abbiamo altro tempo per essere santi.
(*) segretario generale della Conferenza episcopale italiana