La carità, intesa come qualità relazionale della vita umana, non può che presentare i tratti di una comunicazione dinamica che chiama ad aprirsi verso l’altro.
La carità è amore, e l’amore favorisce l’incontro e alimenta il desiderio di consegnarsi, di raccontarsi. Questa tensione accomuna da sempre tutte le persone, andando ben al di là della cultura di appartenenza, del periodo storico o del particolare momento di vita in cui si è immersi. È quasi un istinto, una molla che ben presto mette in movimento la narrazione di sé e, con essa, la costruzione delle proprie rappresentazioni; si tratta del tentativo di dare una forma unitaria alle proprie esperienze e, ancora più profondamente, ai frammenti di senso che ciascuno ha avuto modo di raccogliere nel corso nella propria esistenza.
In fondo, mentre noi stessi ci raccontiamo, non consegniamo soltanto qualcosa di noi a chi ci presta ascolto, ma abbiamo modo di conoscerci meglio, di definire la nostra identità trovando nuovo slancio e nuovi colori per un autentico progetto di vita. Nella società dell’informazione in cui siamo immersi esistono molteplici strumenti per parlare di sé e per farsi conoscere, così come infinite modalità per lasciare tracce digitali della propria esistenza. I social media stessi si presentano come ambiente privilegiato per ospitare queste narrazioni; uno degli effetti può essere proprio il moltiplicarsi della presenza di stories sulle varie differenti piattaforme digitali.
Le narrazioni, anche quelle digitali, contribuiscono a costruire degli scenari di vita che non sono mai completamente neutri; questi possono essere occasione per vivere più intensamente la prossimità, oppure per esercitare dinamiche di potere o ancora per generare reti relazionali significative che sappiano liberare le migliori risorse personali e della comunità.
In questa attuale realtà della comunicazione, ci viene offerta la possibilità di allargare le cerchie di relazione, di interessarci alle vicende che toccano gli altri non soltanto per curiosità, ma mossi dalla voglia di sperimentare un’autentica prossimità.
Una prima modalità per viverla può essere quella di creare le condizioni per dare voce a chi, nella nostra società, non ha voce.
Una seconda modalità è quella di poter denunciare le ingiustizie e ammonire chi compie delle azioni scorrette avendo sempre un atteggiamento mite e usando parole di carità.
Una terza modalità è quella di raccogliere le storie buone di chi ha saputo esprimere con creatività le proprie capacità, così come le buone pratiche in cui il bene comune è stata la prima preoccupazione.
Spesso le narrazioni digitali della rete non sono delle occasioni di prossimità ma, al contrario, presentano dei tratti che possiamo dire preoccupanti; i livelli di violenza e di odio che troviamo ad esempio sui social network sono decisamente molto alti, così come è evidente la circolazione quasi sfrenata di notizie false.
Di frequente i media sono lo scenario in cui si assiste all’attacco diretto dell’avversario, sia a livello delle istituzioni sia a quello dei singoli cittadini; a riguardo, sorprende anche l’estrema facilità con cui, una volta lanciato l’attacco, uno sciame di persone non esita a prendervi parte con l’inevitabile esito di alzare i toni oltre il dicibile e il pensabile. In questi ultimi anni, una delle più evidenti conseguenze del desiderio di raccontarsi sui social è stata quella di generare un’enorme quantità di informazioni personali.
Occorre però muoversi secondo un altro approccio, quello delle Tecnologie di Comunità (Rivoltella, 2017): vedere le tecnologie come un’occasione per la costruzione di legami, la liberazione delle risorse e delle energie di un territorio.
Probabilmente una prima occasione per l’esercizio della virtù della carità al nostro tempo è davvero quella di scoprirsi desiderosi di raccontarsi, con semplicità e verità nello stesso momento. Provando a cogliere anche le nostre fragilità e le nostre paure, le domande che “spingono a fare” e quelle a cui non troveremo mai una risposta; lasciando spazio agli altri perché, anche solo per un attimo, esca di scena la nostra ingombrante rappresentazione delle cose. Ma solo per tornare arricchita di sguardi che non avremmo mai immaginato.
Questo forse può aiutare ad assumere l’atteggiamento di chi contrapporre all’odio urlato la fermezza dell’ascolto e all’indifferenza la disponibilità del legame.
Una carità digitale con questi tratti non può che essere feconda. Di una nuova comunità.