Delle opere leccesi per le quali è richiamato il nome di Gian Giacomo dell’Acaya (Napoli 1500 - Lecce 1570), il castello urbano con la poligonale cinta muraria, l’ospedale dello Spirito Santo, la ristrutturazione del suo palazzo dominicale convertito in chiesa e convento di Sant’Antonio da Padova, l’arco di trionfo di Carlo V e la Chiesa Nuova, soltanto le prime tre sono lavori che per documenti si sa gli appartengono, mentre le altre due gli sono state attribuite.
Il suo intervento al castello (1537) è riconoscibile nel corpo di fabbrica che congiunse le due torri della precedente fortezza medievale, nella cappella a pianterreno e nella costruzione dei quattro bastioni trapezoidali accordati ad altrettanti muri di cortina, mentre costruì di pianta le mura, che, presentano al vertice lo spuntone bastionato detto, per il vicino convento di frati minimi, di San Francesco.
Ispirato alla mole del napoletano Palazzo Gravina, l’ospedale dello Spirito Santo, ricostruito il 1548, il cui interno, il secolo successivo ricevette il suo apparato ornamentale.
Delle fabbriche della sua residenza urbana trasformata in chiesa e convento di francescani (1554), abbattuto il convento, rimangono poche reliquie del prospetto della chiesa che, nella settecentesca sua ricostruzione dovuta al celestino Regina, divenne il braccio sinistro del transetto, il portale a colonne, forse dovuto al Riccardi, davanti al quale, lungo la via degli Acaya, fu tirato un muro che ancora oggi lo cela alla vista, sormontato da un rosone, che richiama l’analoga grafia della Chiesa nuova.
Più imponente di tutti i suoi lavori ed ispirato al criterio della più solenne maestosità è l’arco trionfale di Carlo V realizzato il 1548 per ordine del preside della provincia Ferrante Loffredo marchese di Trevico che, fedelissimo all’imperatore, introdusse in Terra d’Otranto le linee del programma di ordine, efficienza amministrativa e militare attuate in Napoli dal vicerè Pietro di Toledo.
Il dell’Acaya architetto svolse tutte le missioni ed accettò tutte le committenze che lo videro attivo nelle piazze del Mezzogiorno e concluse i suoi giorni, non in Acaya, ma in Lecce, dove, con la sua morte, si concluse anche la vicenda che lo aveva esposto alle dolorose conseguenze per una fideiussione concessa ad un suo amico che non riuscì a saldare il proprio debito.