Parallela e somigliante con quella di Gabriele Riccardi, o come i leccesi lo chiamavano, Beli Licciardo, fu la vita di Giulio Cesare Penna che nacque in Lecce il 1607.
Scultore, si dedicò tardi all’architettura per farne il fulcro dei suoi rilievi realizzati con una plastica mobile, ricca di effetti pittorici e di chiaroscuro.
I suoi primi lavori sono egregie manifestazioni della sua abilità di maestro per il quale la locale arenaria, roccia sedimentaria del posto, non aveva segreti, come l’altare di San Pietro in Otranto (1635), l’altare delle reliquie in Santa Croce con le statue degli evangelisti Luca e Matteo (1639) ed il portale della chiesa delle teresiane, pure in Lecce.
Lavora alla facciata superiore della basilica di Santa Croce, eseguendo anche le statue dei Santi Benedetto e Pier Celestino, le figure allegoriche dell’umiltà e della sapienza issate sulle volute di raccordo e l’animato fregio di alati angeli che reggono le lettere che compongono il nome dell’abate committente, don Matteo Napolitano.
Realizzò anche il timpano mistilineo della chiesa e, passato a lavorare alla fabbrica del monastero, intagliò per il chiostro alcuni plastici capitelli (1651), nei quali ritornano le sculture di amorini e di lettere intrecciate.
Questi lavori gli procurarono fama e successo di artista originale ed autonomo, e fu richiesto dalle benedettine di Lecce per eseguire un San Benedetto, dai predicatori di Brindisi per scolpire un altare per la loro chiesa del Cristo, dai minimi di Martina Franca per realizzare un Ecce Homo e dai doviziosi Della Marra per edificare in Barletta il loro palazzo, per il quale progettò una facciata nella quale ripeté il tema degli amorini reggenti le lettere del casato dei nobili committenti.
Morì, mentre attendeva alla decorazione della chiesa parrocchiale di Salve il 1653, lasciando al suo omonimo figlio il tesoro di uno scalpello tanto abile quanto pittoresco.