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Nel Salento, principalmente a Nardò, il 20 febbraio è ricordato San Gregorio Armeno. Prima di spiegare il motivo della ricorrenza, è il caso di spendere qualche parola sulla sua figura, cercando di rintracciare le origini del culto tra i neretini.

 

 

Il santo (257 ca-332 ca), venerato particolarmente in Russia, era nato nell’Armenia, regione dell'Asia occidentale del Caucaso meridionale. Fu il primo evangelizzatore di quel territorio e, in venticinque anni di apostolato, riuscì a convertire l’intera popolazione tanto da essere appellato l’Illuminatore degli Armeni.

Oltre che nelle sue terre, il santo è particolarmente venerato a Napoli dove, si tramanda, molti monaci e suore armeni, per sfuggire alla persecuzione degli iconoclasti, trovarono rifugio e accoglienza nel monastero di San Gennaro all’Olmo, in via San Ligorio o Liguori. È storicamente accertato che alcune suore portarono con sé le reliquie di San Gregorio Armeno custodendole con devozione. La monumentale chiesa a lui intitolata è situata nell’omonima via, celebre per le botteghe artigianali dei presepisti che si animano nel periodo natalizio.

Non è difficile pensare che da Napoli, capitale del Regno omonimo, il culto verso San Gregorio martire si sia propagato e abbia trovato particolari consensi a Nardò, presumibilmente ai tempi di Antonio Sanfelice (1660-1736), di nobile famiglia napoletana, eletto dal 1707 vescovo della diocesi di Nardò da Clemente XI. Egli si distinse per dottrina, zelo pastorale e saggezza, adoperandosi con ogni mezzo per ridare lustro alla chiesa neretina trovata in uno stato deplorevole.

Ecco i fatti che ci interessano seguendo la credenza popolare. Nel 1743, quando a Nardò si verificò una tremenda scossa di terremoto, la statua di San Gregorio Armeno, collocata sul Sedile con le spalle voltate alla guglia dell’Immacolata, alzò la mano e, l’uragano che seguì al terremoto, cessò immediatamente, limitando così i danni già gravi. Nel rispetto di un’ormai consolidata tradizione, ancora oggi si rinnovano i cento rintocchi di campana della torre dell’orologio di piazza Salandra, in memoria delle vittime del terremoto.

In un’altra ben diversa circostanza, che ormai fa parte del passato, San Gregorio riceveva le invocazioni dei vecchi contadini locali quando la prolungata siccità comprometteva il raccolto. Nonostante le ripetute processioni penitenziali e le funzioni sacre, tra cui si ricorda il cosiddetto Triti, - i tre giorni durante i quali si officiavano messe cantate e si recitava incessantemente perché l’amato santo facesse cadere la benefica pioggia -, egli si mostrava sordo alle implorazioni dell’intera comunità oltre, naturalmente, a quelle che intimamente ogni contadino gli rivolgeva. Ciò era interpretato come una forma di disinteresse da parte del santo che, tra i credenti, indispettiva non poco, e si credeva che così, atteggiandosi, puniva una comunità di peccatori e ingrati. Tale indifferenza, in ogni caso, non era accettata da nessuno. E così, in barba ad ogni regola di reciproco rispetto, un anno si costrinse il santo a soffrire la sete! Come? Per almeno tre giorni la sua statua fu lasciata in chiesa al buio o soltanto con una candela accesa, senza messe cantate. Si giunse perfino a metterle una sarda in bocca, perché il santo si decidesse a compiere l’agognato miracolo: liberare dal cielo la tanto invocata benefica pioggia.

Forse i contadini esasperati dalla dannosa siccità dovrebbero ripetere tale rito sciamanico? In tempi così altamente tecnologici, insediati dalla intelligenza artificiale… avrebbero senso e darebbero i risultati sperati?

 

 

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