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San Giuseppe è celebrato dalle litanie a lui dedicate come Patrone morientium, patrono dei morenti. Si tratta, senza dubbio, di un titolo molto antico.

 

 

 

 

Probabilmente sorto grazie alla Storia di Giuseppe il falegname, un testo apocrifo databile al VI sec. (ma elaborato certo sulla base di tradizioni ben più vetuste) che, avendo ampia diffusione nelle chiese cristiane orientali, permise alla figura del carpentiere di Nazareth di affiancare il profeta Elia nel protettorato degli agonizzanti. La Storia riporta infatti un lungo discorso tenuto da Cristo agli apostoli presso il Monte degli Ulivi in cui si rievoca la morte del patriarca, avvenuta alla veneranda età di 111 anni. Lo scritto, che presuppone un chiaro back-ground egiziano, fissa l’evento al 26 del mese copto di Abîb, corrispondente al nostro 2 agosto. Ed in effetti, il Sinassario Mediceo della Chiesa di Alessandria, redatto nel 1425, riferisce per quella data: “Transito del santo e giusto vegliardo Giuseppe il falegname, sposo della Deipara Vergine Maria, che fu meritevole di essere chiamato padre di Cristo”. Ancora oggi i cristiani d’Egitto festeggiano il santo in tale ricorrenza estiva.

A questo punto è lecito chiedersi: dov’è il sepolcro di Giuseppe? Esiste ancora? Il tema è alquanto complesso anche perché si rilevano localizzazioni diverse e tutte difficilmente dimostrabili. Una prima ipotesi è desumibile dai racconti di Daniele il Pellegrino, un monaco russo recatosi in Terra Santa nei primi decenni del XII sec. Daniele riferisce di aver visitato la tomba di San Giuseppe a Nazareth, nei pressi della basilica dell’Annunciazione. Di un sepolcro del genere se ne erano perse le tracce almeno sino al 1985 quando, in seguito agli scavi compiuti nella zona ovest della sacra grotta, venne rinvenuta una sepoltura tenuta un tempo in grande venerazione come dimostravano i vari graffiti incisi su di essa. Che fosse la tomba del grande patriarca era però da escludere. Anzi, gli studiosi ritengono ormai che la notizia data dal monaco Daniele sia frutto di un equivoco. Egli avrebbe visitato in realtà il sepolcro del diacono Conone, uno degli ultimi epigoni del clan familiare di Giuseppe, finito martire nelle persecuzioni di Decio. Oppure il tumulo di Giuseppe di Tiberiade, noto esponente della locale comunità giudeo-cristiana del IV sec., scambiando tale personaggio con il santo carpentiere.

Una seconda ipotesi fa invece riferimento ad Arculfo, vescovo gallico sul finire del VII sec., la cui testimonianza è accolta da una personalità autorevole come Beda il Venerabile nel suo De locis sanctis. Attraversando la Palestina, Arculfo afferma di aver osservato nella valle del Cedron nei pressi di Gerusalemme due monumenti funebri, l’uno dedicato al vecchio Simeone di evangelica memoria e l’altro attribuito proprio allo sposo della Vergine. La medesima esperienza venne fatta, più di ottocento anni dopo, dal domenicano tedesco Felice da Ulm. Eppure nel 1534, il viaggiatore Greffin Affargat individua un cenotafio di Giuseppe in una cappella della chiesa di Santa Maria di Giosafat dove, stando sempre alle sue annotazioni, erano custoditi anche i sepolcri dei Santi Anna e Gioacchino. Questa cappella, appartenuta dapprima agli etiopi e passata poi ai francescani, è gestita oggi dagli armeni. Il minorita Bonifacio da Ragusa, che fu custode di Terra Santa fra il 1551 ed il 1565, formulò una preghiera per la visita stazionale del luogo, preceduta da una rubrica che recitava: “I devoti e pii pellegrini, entrati nella piccola cappella, bacino il sepolcro nel quale fu deposto il custode della Vergine Madre e della di Lei celeste Prole”. Ciononostante, è doveroso notare come il particolareggiato Trattato di Terra Santa e dell’Oriente, composto nel XVI sec. dal veneziano Francesco Suriano, non faccia alcun cenno a nessuna di queste presunte tombe di San Giuseppe.

Cosa concludere, allora? Di fronte a tanta incertezza, è lecito accogliere l’opinione, espressa da numerosi santi (anche se non definita dogmaticamente), secondo cui il padre putativo di Cristo abbia sì sperimentato la morte ma sia stato poi assunto in cielo col suo stesso corpo in seguito agli eventi pasquali. In fondo, il Vangelo di Matteo afferma che, dopo il sacrificio del Golgotha, “i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti” (Mt 27,52-53). Come non poter credere che, tra questi uomini gloriosi, non vi fosse anche il giusto Giuseppe, liberato insieme agli altri patriarchi dal Messia di cui un tempo si era preso cura? Tale è del resto la convinzione di un fulgido dottore della Chiesa come San Francesco di Sales: “Non dobbiamo per nulla dubitare che questo santo glorioso abbia un enorme credito nel cielo, presso Colui che l’ha favorito a tal punto da elevarlo accanto a Sé in corpo e anima. Cosa che è confermata dal fatto che non abbiamo reliquie del suo corpo sulla terra. Così che mi sembra che nessuno possa dubitare di questa verità. Come avrebbe potuto rifiutare questa grazia a Giuseppe, Colui che gli era stato obbediente tutto il tempo della sua vita?”.

                       

         

 

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