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Nelle prime puntate di questa rubrica avevamo accennato ad una singolare tesi nell’ambito della josefologia, quella secondo cui San Giuseppe sarebbe stato assunto in cielo in anima e corpo. Ovviamente, non si tratta di un articolo di fede ma di una semplice ipotesi. 

 

 

 

 

Se infatti l’assunzione della Vergine è stata dogmaticamente definita nel 1950 da Pio XII con la costituzione Munificentissimus, quella di Giuseppe non ha mairicevuto un tale crisma. Quindi è un tema su cui il dibattito teologico resta aperto. Certo, un tema alquanto ardito ma, a nostro parere, non azzardato.

La Scrittura, almeno in maniera esplicita, nulla dichiara sull’argomento ed anche la Tradizione del primo millennio sembra tacere sulla cosa. I padri paiono infatti dividersi sull’oscuro passo del Vangelo di Matteo che, nel raccontare il sacrificio del Calvario, afferma: “I sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, entrarono nella città santa e apparvero a molti” (Mt 27,52-53). Alcuni, tra cui Agostino e Gregorio Magno, intendono tali resurrezioni solo in senso terreno, come quella di Lazzaro che fu sì risuscitato ma per concludere, in altro tempo, la propria vita. Altri, ad esempio Ambrogio o Beda, credono invece che quei santi risorsero come Cristo: vennero da lui liberati dagli inferi e tratti in cielo il giorno dell’Ascensione. In ogni caso, nelle pagine di questi autori, il nome del carpentiere galileo non compare. Solo l’apocrifa Storia di Giuseppe il falegname affresca una commovente scena in cui Gesù, dopo aver assistito alla morte del suo padre putativo, annuncia l’incorruttibilità del suo corpo. Il panorama cambia tuttavia nel corso del secondo millennio. Già San Pier Damiani (1007-1072) accenna ad un’assunzione celeste di Giuseppe in qualche omelia mentre il canonico di Chartres Giovanni Gersone (1363-1429) sostenne la cosa al Concilio di Costanza. È noto poi il miracoloso episodio che vede San Bernardino da Siena (1380-1444) esprimersi favorevolmente per questa tesi mentre una luminosissima croce dorata gli sfavillava sul capo. L’autorevole gesuita Francisco Suarez (1548-1617) riteneva plausibile tale credenza. La medesima opinione aveva Francesco di Sales (1567-1622) che notava, tra l’altro, come in nessun luogo della cristianità si venerassero reliquie corporee del falegname nazareno. Un alto esponente del francescanesimo, Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751), interpretando il passo dei Proverbi che recita “Tutti i suoi familiari hanno doppia veste” (Pr 31,21), riferiva l’asserto alla famiglia della Vergine e la doppia veste cui si allude come la glorificazione dell’anima e del corpo che avrebbe contraddistinto Giuseppe. Uno spirito eletto come la venerabile Maria di Agreda (1602-1665) invece scrive: “Il giorno della resurrezione si alzò il Salvatore dal sepolcro e promise al lignaggio umano la resurrezione universale come effetto della sua. In pegno di questa promessa, dispose che le anime di molti santi che si trovavano là, si riunissero ai loro corpi e risuscitassero a vita immortale. Immediatamente venne eseguito questo divino comando e risuscitarono i corpi di cui riferisce Matteo. Tra essi si trovavano Sant’Anna, San Giuseppe, San Gioacchino ed altri antichi patriarchi che si erano distinti nella fede e nella speranza dell’Incarnazione e con maggior desiderio l’avevano anelata”. In tempi a noi più prossimi, il cardinale Alexis Lepicier (1863-1936) vedeva nella traslazione delle ossa dell’antico Giuseppe figlio di Giacobbe dall’Egitto alla Terra Promessa una prefigurazione del destino del nostro santo. È interessante notare infine come anche Giovanni XXIII (1881-1963), nell’omelia per l’Ascensione del 1960, pur non entrando nel merito dell’escatologia josefina, abbia affermato che si può piamente credere all’idea che, nel momento in cui il Salvatore salì al cielo, vennero schiuse le porte della gloria pure a colui che gli aveva fatto da padre sulla terra.  

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