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A Roma, nella basilica di Sant’Anastasia al Palatino, si conserva una reliquia davvero insigne: uno stralcio del manto di San Giuseppe.

 

 

Stando almeno alla tradizione locale, questo tesoro venne condotto o inviato in Italia da San Gerolamo (†420), noto per i suoi soggiorni in Terra Santa e per le sue relazioni con i cristiani di Betlemme, dai quali lo avrebbe ricevuto. Il tessuto risulta molto ben conservato (si possono riconoscere, senza fatica, finanche dei colori) forse perché, nel corso dei secoli, è stato trattato con ogni cura, non essendo quasi mai esposto a pubbliche venerazioni. Ovviamente, non esistono prove decisive a sostegno dell’autenticità del reperto. La lipsanologia (cioè lo studio delle reliquie) è argomento molto complesso. Tuttavia, a nostro giudizio, non è prioritario sapere se quel panno sia sul serio appartenuto al nostro santo quanto piuttosto la realtà spirituale cui esso rimanda.

Tra quanti amano il falegname galileo è infatti celebre la stupenda preghiera del sacro manto. Una serie di semplici ma significative orazioni, volte ad esaltare diversi aspetti della figura di Giuseppe, da ripetere per trenta giorni consecutivi in memoria dei trent’anni della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Sull’origine di questa devozione non è stata fatta ancora chiarezza. Di certo è possibile affermare che la sequenza di preghiere venne redatta da un’anonima devota ed approvata il 22 agosto 1882 da mons. Francesco Maria Petrarca (1822-1895), all’epoca arcivescovo di Lanciano, in Abruzzo. Mons. Petrarca, figlio di umilissimi contadini campani, era un uomo di grande cultura teologica e la sua scelta di concedere l’imprimatur fu senza dubbio in linea con la volontà del pontefice del tempo, Leone XIII (1810-1903), di propagare sempre più il culto josefino. Ad ogni modo, da allora, il sacro manto si è largamente diffuso tra i fedeli. Del resto, numerose sono le testimonianze di straordinarie grazie concesse dal santo attraverso tale preghiera che, in tempi recenti, ha catturato anche l’interesse ed il fervore della dinamica giornalista umbra Costanza Miriano.

A volte, il manto del carpentiere nazareno ha suscitato delle leggende che, a prima vista, possono sembrare frutto dell’ingenua fantasia popolare ma che pure celano un messaggio più profondo da cogliere. Uno di questi racconti narra come Giuseppe avesse contratto un certo debito con l’iracondo e taccagno Ismaele di Hebron per un carico di legname necessario ai suoi lavori. Non avendo la somma di denaro utile ad estinguerlo, il santo lasciò in pegno al creditore il suo mantello, tessuto da Maria come dono di nozze. Ismaele, pur tra mille rimostranze, aveva accettato la cosa. Una notte si addormentò dopo essersi avvolto nel manto e, al risveglio, si era ritrovato guarito dalle ulcere della pelle di cui soffriva. Eva, la moglie di Ismaele, era sempre stata invece una donna rancorosa ed intrattabile ma, accarezzando il panno, ecco che il suo animo venne completamente mutato. La coppia possedeva anche una mucca che purtroppo era in fin di vita. Provarono a coprirla col prezioso mantello e l’animale venne risanato. Quando infine la casa prese fuoco, tagliarono un pezzo di quella stoffa e lo misero tra le fiamme: subito l’incendio si spense. Allora compresero che i prodigi del manto erano l’effetto della santità dell’uomo che lo aveva consegnato loro.          

Quale insegnamento trasmette una novella dal tono così fiabesco se non quello che Dio colma di benedizioni e risolve anche le più gravi difficoltà nell’esistenza di quanti si pongono sotto il manto protettivo di Giuseppe? In tale certezza affonda le radici la bella iconografia che vede il padre putativo di Cristo coprire con il proprio mantello i suoi devoti.          

       meglissimopreghiera a san giuseppe 1

 

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