Mentre la josefologia fatica ad aprirsi un varco nell’ambito degli studi teologici, il culto di San Giuseppe risulta invece, a livello popolare, ben affermato.
Esso tuttavia, almeno per quanto riguarda il cattolicesimo, è un fenomeno abbastanza recente. Sebbene infatti la Tradizione attesti, sin da tempi molto antichi, l’onore e la lode verso la figura del carpentiere galileo, non sempre tali sentimenti si sono tradotti in una vera preghiera d’invocazione. È doveroso allora ammettere che quanto affermato dalle Scritture ed insegnato dai padri in merito al ruolo svolto dal nostro santo nell’economia della salvezza è stato recepito dalla Chiesa piuttosto lentamente. Non per nulla, il primo papa considerato a tutti gli effetti josefino è Pio IX (1792-1878). Il suo travagliatissimo pontificato ebbe ad intrecciarsi con le vicende del risorgimento italiano e ciò rende la sua memoria ancora oggi esecrata in determinati ambienti culturali, nonostante la beatificazione avvenuta nel 2000. Non tutti sanno però che è stato proprio questo sanguigno papa di origini marchigiane a proclamare San Giuseppe patrono della Chiesa universale.
Era l’8 dicembre 1870, un secolo e mezzo fa. Da poco più di due mesi le truppe savoiarde avevano aperto la breccia di Porta Pia, annettendo forzatamente Roma al neonato Regno d’Italia. Le logge massoniche, giunte ormai al potere, conducevano una guerra senza esclusione di colpi: vescovi e sacerdoti messi in carcere, ordini religiosi soppressi, beni di parrocchie, conventi, diocesi incamerati. Si consumava intanto la tragedia del Mezzogiorno con la cosiddetta “guerra al brigantaggio” ed i prodromi dell’emigrazione di massa oltreoceano. Nell’Europa Occidentale come in Russia e negli Stati Uniti dilagava l’ostilità a qualunque cosa avesse sentore di cattolico. Fu in tale funesto clima che Pio IX, dando seguito a numerosissime istanze pervenute da confraternite e congregazioni, sinodi e movimenti, nonché raccogliendo gli auspici del Concilio Vaticano I e della propria personale devozione, dichiarò solennemente San Giuseppe Protector Sanctae Ecclesiae, promulgando il decreto Quemadmodum Deus. In questo documento si riconosceva al padre putativo di Cristo un potere di intercessione secondo solo a quello della Vergine e si dipingeva la sua missione sulla base delle vicende dell’antico Giuseppe della Genesi. Ciò che il figlio di Giacobbe fu per la vita naturale del popolo di Israele, il falegname nazareno lo fu per la vita sovrannaturale dell’intero genere umano. Un’analogia questa già formulata dalla letteratura medievale ma che, inclusa in un decreto pontificio, sanciva ufficialmente tutta l’importanza del santo nella storia della salvezza. Giuseppe, eletto dal cielo custode dei tesori divini, aveva una dignità davvero unica se addirittura il Salvatore si degnò di essere creduto suo figlio e gli fu sottomesso. Per tali motivi, la Chiesa doveva fare a lui ricorso nei pericoli più grandi. A meno di un anno di distanza, il 7 luglio 1871, quando Vittorio Emanuele II (1820-1878) aveva appena messo piede al Quirinale, lo stesso papa Mastai firmò poi la lettera apostolica Inclytum Patriarcham. Un testo incentrato sul diritto di Giuseppe alla protodulia (cioè ad un culto superiore a quello dedicato agli altri santi) ed in cui si illustravano alcuni speciali privilegi che il patriarca avrebbe ricevuto da Dio.
La devozione allo sposo della Vergine e l’approfondimento della sua figura, così come oggi li conosciamo, iniziarono a diffondersi quindi in seguito alle drammatiche circostanze che la Chiesa cattolica dovette affrontare a partire dalla seconda metà del XIX sec. L’incandescente scontro fra la sede romana e lo stato italiano, i difficilissimi rapporti con gli zar di Russia, l’anticattolicesimo montante nel continente europeo come in quello americano e, più in generale, il processo di scristianizzazione della società civile spinsero Pio IX (e, come vedremo, anche i suoi immediati successori) a confidare nel patrocinio del nostro santo.