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Nella scorsa puntata abbiamo visto come Pio IX dichiarò, in maniera solenne, San Giuseppe patrono della Chiesa universale.

 

 

Tale indirizzo venne seguito anche dal suo immediato successore, Leone XIII (1810-1903), che è dunque da considerare come il secondo papa josefino della storia. Le circostanze in cui questi ascese al soglio risultavano davvero infelici. L’annessione manu militari di Roma al Regno d’Italia aveva reso la Sede Apostolica pressoché isolata a livello internazionale. L’aggressività dei nuovi governi massonici nei confronti della religione cristiana si faceva ogni giorno più pesante. L’anticattolicesimo veniva rinfocolato non solo nella penisola ma in tanti paesi europei come anche nel continente americano. Teorie quali il razionalismo, il naturalismo, l’ateismo, il socialismo o il nichilismo fuoriuscivano ormai da determinati circoli intellettuali, spargendosi fra il popolo. Il nuovo pontefice era senza dubbio un uomo saggio e tendeva a leggere in maniera soprannaturale gli eventi. È nota la visione mistica che ebbe quasi agli albori del XX sec. (avrebbe visto la basilica vaticana scossa dai demoni) che lo spinse a comporre un’intensa preghiera all’arcangelo Michele e ad incentivare tra i fedeli la recita del rosario. Accanto a tali iniziative, una colonna portante del suo pensiero fu però proprio la necessità di una sempre più ampia devozione al falegname nazareno, che non a caso è definito dalla Chiesa Terror daemonum, Terrore dei demoni.

Sin dall’inizio, Leone XIII aveva posto il pontificato sotto il patrocinio di Giuseppe e, nei documenti magisteriali da lui firmati, numerose sono le allusioni all’importanza del nostro santo. Il suo nome resta tuttavia legato alla meravigliosa enciclica Quamquam pluries del 15 agosto 1889. Poche pagine ma in cui vengono tracciati per la prima volta in maniera completa i lineamenti della teologia giuseppina. L’insegnamento del Papa era nitido: in tempi così drammatici, in cui il male sembrava molto più forte di qualsiasi rimedio umano, era giusto confidare nell’aiuto celeste e, in particolar modo, nel soccorso del grande patriarca. La gloria di Giuseppe deriva dal suo essere sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Se la Vergine è stata elevata ad una dignità altissima, superiore ad ogni creatura, Giuseppe si è avvicinato a quei sublimi livelli come nessun altro e partecipa della grandezza di lei. Se Maria, in quanto madre di Cristo, è vera madre di tutti i cristiani anche Giuseppe è da considerare come un padre per ogni fedele. Del resto, se Dio aveva concesso un tempo a quest’uomo di proteggere la famiglia da cui sarebbe giunta la salvezza per il genere umano, è lecito credere che ora il santo carpentiere protegga l’innumerevole famiglia di coloro che hanno accolto quella salvezza. In Giuseppe inoltre potevano trovare un esempio i battezzati di qualsivoglia condizione. I padri un modello perfetto per la loro missione, gli sposi un’icona di concordia e di fedeltà coniugale. Guardando alla sua immagine, i benestanti potevano comprendere quali fossero gli autentici tesori da desiderare mentre gli operai riscoprire la dignità del proprio lavoro. L’enciclica si concludeva infine con la celebre preghiera A Te, o Beato Giuseppe che tanto si sarebbe poi diffusa nel mondo cattolico, divenendo di fatto la principale orazione dedicata al santo e la pietra miliare del suo culto. E il cui attacco Portalecce ha scelto per denominare questa rubrica.      

 

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