A distanza di cinquanta anni dalla proclamazione di San Giuseppe come patrono della Chiesa universale, Benedetto XV (1854-1922) volle commemorare l’evento con un apposito motu proprio dal titolo Bonum Sane, firmato il 25 luglio 1920.
Considerando la bimillenaria storia della religione cristiana, mezzo secolo ci appare davvero un nulla. Eppure, in quei cinquanta anni era accaduto di tutto. Pio IX aveva invocato San Giuseppe all’indomani della breccia di Porta Pia, Benedetto XV ricordava la cosa all’indomani del primo conflitto mondiale. Tra le due date, una lunga serie di sciagure, dapprima per le popolazioni italiane, poi per il continente europeo, infine per il mondo intero. In quei cinque decenni si era consumato il dramma del Mezzogiorno che, umiliato dalla ferale conquista piemontese, aveva vissuto il tristissimo fenomeno dell’emigrazione di massa oltreoceano. Gli assurdi sogni di gloria di una mediocre classe dirigente si erano risolti nel disastro di Adua e nel sacrificio di migliaia di vite per la presa dei deserti libici. Poi, si era voluto ad ogni costo trascinare l’Italia nell’uragano della Grande Guerra. Il resto lo aveva fatto il diffondersi della terribile epidemia di “spagnola”. Ma pure l’Europa era ormai cambiata. Imperi plurisecolari erano stati cancellati dalla mappa geografica e le ideologie totalitariste salivano velocemente al potere. In questo turbinio di nere vicende anche la Sede Apostolica si era ritrovata coinvolta. La ferita risorgimentale della questione romana restava apertissima. Benedetto XV, come il predecessore, trascorreva il suo pontificato praticamente recluso in Vaticano. L’isolamento della figura del papa, causato dalla diffusa ostilità dei governi, era giunto ai massimi livelli. E ciò spiega l’assoluta irrilevanza in campo internazionale della presa di posizione contro gli eventi bellici del ʼ14-ʼ18.
Il panorama si mostrava dunque fosco. E tuttavia il pontefice scorgeva una luce proprio nella sempre più diffusa e profonda devozione al falegname nazareno da parte del popolo dei fedeli. In ogni contrada della cattolicità sorgevano confraternite, sodalizi e nuovi istituti religiosi consacrati al padre putativo di Cristo o, più in generale, alla Santa Famiglia. Si moltiplicavano gli altari e si erigevano nuove chiese al grande patriarca. L’immagine del nostro santo era stata portata dai soldati nelle trincee o custodita nelle tasche degli emigranti che avevano raggiunto il continente americano. Nell’amore e nell’invocazione sempre più crescenti verso il grande patriarca Benedetto XV percepiva la speranza di una via che, se percorsa, avrebbe schiuso tempi nuovi e migliori. Vi vedeva inoltre un antidoto alle idee traviate che, a suo modo di vedere, caratterizzavano l’età moderna. Soprattutto al naturalismo, “quella peste del secolo, che, dove mette radici, attenua il desiderio dei beni celesti, spegne la fiamma della divina carità e sottrae l’uomo alla grazia sanante ed elevante di Cristo, finché, toltogli il lume della fede e lasciategli le sole e corrotte forze della natura, lo abbandona in balia delle più insane passioni”. Nel pensiero di questo dotto e realista papa genovese la figura di San Giuseppe, se ben conosciuta, avrebbe permesso ai lavoratori di ogni tipo di leggere con occhi diversi la propria realtà e missione, liberandoli dalla dinamica dello scontro sociale - che, in quell’epoca, assumeva sul serio toni violenti e drammatici - e permettendo loro di conseguire, attraverso altre strade, condizioni di vita migliori.