Lo scorso 16 ottobre 2019 si è aperto nel monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, un anno giubilare per ricordare il centesimo anniversario della canonizzazione di Margherita Maria Alacoque, umile monaca visitandina del suddetto monastero e figura nota al mondo cattolico per essere stata la depositaria delle rivelazioni del Cuore di Gesù.
Le celebrazioni centenarie avrebbero dovuto raggiungere il loro culmine proprio oggi 13 maggio 2020, data in cui, cento anni fa appunto, la religiosa nata a Verosvres il 22 luglio 1647 e deceduta a Paray-le-Monial 17 ottobre 1690 venne canonizzata da Papa Benedetto XV nella basilica di San Pietro a Roma.
Per quest’anno giubilare la Penitenzieria apostolica ha concesso l’indulgenza plenaria in alcuni giorni particolari a coloro che visitano le chiese annesse ai monasteri della Visitazione, ordine fondato da San Francesco di Sales e Santa Giovanna Francesca di Chantal, in cui Margherita entrò ventiquattrenne e vi rimase per 19 anni fino alla morte.
Vediamo ora più da vicino alcuni aspetti biografici della vita della santa e il nucleo del suo messaggio nella sua sconvolgente attualità.
Margherita, dopo aver vinto le resistenze dei genitori, entra nel monastero di Paray-le-Monial dove, dopo pochi anni, diventa interlocutrice privilegiata del Signore e su sua precisa richiesta apostola della devozione al Sacro Cuore. Tutto inizia il 27 dicembre 1763 quando Gesù si manifesta a Margherita: è la festa liturgica di San Giovanni evangelista, l’appassionato cantore dell’amore verso Dio e verso i fratelli. Cristo presenta alla religiosa francese il proprio Cuore come simbolo del suo amore infinito per l’umanità, chiedendone un particolare culto, oltre ad una vita coerente. Assicurava poi i suoi tesori di misericordia attraverso il culto al suo Sacro Cuore e all’Eucarestia, da ricevere frequentemente.
Chiedeva infine la partecipazione alla riparazione delle offese fatte a Dio. Il culto al Sacro Cuore si colloca ed è una risposta ad un contesto storico religioso ben preciso in cui la fede era attaccata da un rigido giansenismo che allontanava i credenti dalla pratica sacramentale e illanguidiva la pietà in ogni sua espressione. Margherita ebbe molte a soffrire per via delle rivelazioni ricevute, soprattutto dalle consorelle, ma anche dai superiori da cui era derisa e perfino dal suo direttore spirituale che la considerava una «fanatica visionaria», «bisognosa di un po' più di minestra e di mitigare penitenze e disciplina».
Fu l’intervento del gesuita San Claudio de la Colombière, divenuto confessore del monastero, a far sì che l’umile visitandina francese venisse presa sul serio e che il messaggio del Sacro Cuore venisse diffuso e apprezzato in varie parti. Margherita, chiuse la sua esistenza terrena a soli 43 anni, purificata da numerose prove ma sempre innestata nel mistero di quel «cuore così umano che può solo essere un cuore divino» (L. Boff). Ora chiediamoci qual è l’eredità che ci consegna Santa Margherita? Innanzitutto il culto al Sacro Cuore. La radice di questo culto è indirettamente rinvenibile nella Sacra Scrittura.
Scrive Pio XII nell’enciclica Haurietis Aquas del 15 Maggio 1956: «È fuor di dubbio che nei Libri Sacri non si hanno mai sicuri indizi di un culto di speciale venerazione e di amore, tributato al Cuore fisico del Verbo Incarnato, per la sua prerogativa di simbolo della sua accesissima carità. Ma questo fatto, se è doveroso apertamente riconoscerlo, non ci deve recar meraviglia, né in alcun modo indurci a dubitare che la carità, la quale è la ragione principale di questo culto, sia nell’Antico, che nel Nuovo Testamento, è esaltata e inculcata con immagini tali, da commuovere potentemente gli animi. Queste immagini, poiché sono contenute nei Libri Sacri che preannunziavano la venuta del Figlio di Dio, fatto uomo, possono considerarsi come un presagio di quello che doveva essere il più nobile simbolo e indice dell’amore divino, cioè del Cuore sacratissimo e adorabile del Redentore Divino».
Il cuore umano, specialmente nella cultura semitica, è la sede degli affetti e centro della persona. Così Cristo mostrandoci il Suo Cuore rivela tutto se stesso e allo stesse tempo il cuore stesso di Dio che al dire di Papa Francesco è talmente «innamorato di noi», che ci accarezza teneramente e ci canta la ninnananna proprio come fa un papà con il suo bambino. Non solo: lui ci cerca per primo, ci aspetta e ci insegna a essere «piccoli», perché «l’amore è più nel dare che nel ricevere» ed è «più nelle opere che nelle parole» (Omelia a Santa Marta, 27 Giugno 2014).
Le tre apparizioni del Sacro Cuore alla santa francese ci presentano dunque 1) L’Amore gratuito di Dio che ama sempre per primo (cf. 1Gv 10). Egli ci ama non in base ai nostri meriti ma in virtù del suo essere Amore, amore fedele, che si manifesta pienamente nel Cuore di Gesù che «nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore»; 2) Percepire il lamento di Gesù sull’indifferenza degli uomini dinanzi all’offerta del suo Amore. Ciò significa essere strappati ad ogni egoismo o egocentrismo spirituale. Ma anche essere liberati dallo scoraggiamento-disperazione, come dall’amore mercenario, dall’ambizione e dalle pretese spirituali; 3) Rispondere a quest’Amore gratuito e fedele con una vita che promana amore mediante gesti concreti e che dunque fa del comandamento dell’amore la propria norma di vita.
Dinanzi alle obiezioni di che ritiene questo culto desueto e legato a espressioni sentimentali della fede sembra opportuno ricordare le parole di Papa Francesco nell’omelia del 23 giugno 2017, solennità del S. Cuore, parole cha vanno al nocciolo della questione: «Il cuore trafitto di Cristo non è -come qualcuno dice- una “immaginetta per i devoti”: è il cuore della rivelazione, il cuore della nostra fede perché Lui si è fatto piccolo, ha scelto questa via. È un cuore che ama, che sceglie, che è fedele e si lega con noi, si rivela ai piccoli, chiama i piccoli, si fa piccolo. Crediamo in Dio, sì; sì, anche in Gesù, sì … Gesù è Dio? - ‘Sì’. Ma il mistero è questo. Questa è la manifestazione, questa è la gloria di Dio. Fedeltà nel scegliere, nel legarsi e piccolezza anche per se stesso: diventare piccolo, annientarsi. Il problema della fede è il nocciolo della nostra vita: possiamo essere tanto, tanto virtuosi ma con niente o poca fede; dobbiamo incominciare da qui, dal mistero di Gesù Cristo che ci ha salvato con la sua fedeltà».